Nigeria, Mozambico, Etiopia: un trittico sulla nuova onda di beatmakers che cerca di dare voce al continente, attingendo alla tradizione. Ora su TIMVISION.
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Quali sono oggi i suoni dell'Africa, e chi li produce? Che influenza hanno avuto la rete e i social nella loro nascita e diffusione? Quali sono i modelli a cui guarda chi fa musica oggi nel continente? A che pubblico si rivolge? In Taxi Waves rispondono i protagonisti: produttori, cantanti e promoter della scena, intervistati nel loro contesto d'origine.
La sceneggiatura è di Cassinis e Mike Calandra Achode, da un soggetto di quest'ultimo, che, nato in Benin ma cresciuto a Roma, ha fondato Crudo Volta, progetto multimediale che diffonde le culture musicali nate dall'intersezione tra la migrazione africana e la cultura pop occidentale.
Taxi Waves ci catapulta in mezzo agli studi di registrazione e nei club - ma anche e soprattutto nelle strade, tra i mercati affollati, i quartieri e le periferie dove i ragazzi si ritrovano a ballare e cantare, tra l'esplosione urbanistica a volte quasi spettrale e l'elettricità della vita locale. Non è un caso che il primo episodio sia ambientato in Nigeria, dove risuona ovunque lo spirito di Fela Kuti, leggendario musicista e orgoglio nazionale (1938-1997) nonché faro dell'attivismo politico per i fratelli africani. Un punto di riferimento per la musica mondiale, convenzionalmente noto come il "padre dell'afrobeat". Che oggi - sostengono i musicisti africani intervistati - più che una categoria da enciclopedia musicale è una cultura, "uno stato mentale", uno stile di vita diffuso che accomuna molti contesti differenti, a loro volta discendenti da tribù peculiari per lingua (come l'amarico, la lingua ufficiale etiope, accompagnata da molte altre) e tradizione musicale.
Infatti la mappatura della nascente scena elettronica si estende nei due episodi successivi - con lo stratagemma narrativo di un taxi ogni volta diverso ed estremamente connotato - dalla capitale Lagos, centro della vita culturale nigeriana, a Maputo (Mozambico) e Addis Abeba (Etiopia), offrendo un inedito sguardo su sottoculture estremamente ricche e desiderose di emergere, di trovare non solo il successo commerciale (come la più nota star Davido) ma al tempo stesso di recuperare e continuare a tenere per mano gli ancestors, gli antenati. Le loro voci, i loro nomi, i beat, le melodie, alcune percussioni tradizionali attraversano tutti e tre gli episodi, nell'incontro per niente stridente con le drum machine, i dj set, i computer.
È un battito che continua nel tempo, dalle origini del mondo, e dopo essere stato riscoperto da hip hop e rap in contesti economicamente più avvantaggiati, è a queste nuove generazioni riprese in Taxi Waves che va il compito di declinarlo in forme nuove. Perché siano accessibili al contesto di provenienza (non solo gli slums) e possibilmente a un pubblico internazionale, globalizzato. Va da sé che in questo processo di ricerca di visibilità, oltre ai finanziatori locali e alle radio, anche il ruolo dei social è imprescindibile.
Occasione rara di scoprire le nuove leve e i loro padri spirituali, Taxi Waves mette in fila nomi del passato e del presente, ignoti ai più fuori dal continente ma che stanno velocemente penetrando nel mainstream e nell'immaginario comune, sia per suggestione dei ritmi che come testimoni di un patrimonio condiviso. Artisti con una nuova consapevolezza politica del proprio fare, concentrati sull'elemento spirituale della musica, su ciò che accomuna l'umanità, piuttosto che ciò che la divide.