L'attrice interpreta una Mata Hari insospettabile che fa del suo aspetto comune, invece che della sua bellezza pericolosa, la sua arma segreta. Al cinema.
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Quali carattaristiche contraddistinguono la spia cinematografica per antonomasia? Il fascino, il mistero, l'allure glamour, le location lussuose, gli abiti eleganti. Se poi quella spia è femmina diventa istantaneamente una femme fatale, una tentatrice bellissima e seducente pronta a ingannare il maschio di turno per carpirgli informazioni top secret. È esattamente contro questa aspettativa cinefila che si muove Red Joan, lo spy thriller di Trevor Nunn basato sul romanzo "La ragazza del KGB" di Jennie Rooney, a sua volta ispirato alla vicenda reale di Melita Norwood, fisica nucleare ed ex agente britannica arrestata per spionaggio negli anni Novanta con l'accusa di avere trasmesso all'Unione Sovietica informazioni per costruire la bomba atomica ai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Non a caso non è lei la seduttrice, ma è colei che verrà sedotta, travolta dalla passione per un tipo affascinante che le sfilerà gli abiti di flanella e la spingerà a mettere da parte la fedeltà alla Corona. È proprio l'invisibilità a fare di Joan la spia più insospettabile, e dunque la più pericolosa ed efficace. In questo senso ricorda il George Smiley (cui forse non a caso il cognome Stanley fa eco) de La talpa un apparente signor nessuno che si mimetizza con la tappezzeria e riesce ad infiltrarsi ovunque senza farsi notare.
La forza di Joan, come quella di George, è il suo aspetto qualunque, quel grigiore tipicamente inglese che le ha garantito l'anonimato tanto durante gli anni della guerra quanto in quelli a seguire, permettendole un ritorno al giardinaggio e al tè delle cinque senza che nessuno sospettasse il suo
operato e il suo ruolo nella nascita della Guerra Fredda. In questo senso il casting di Judi Dench nella parte di Joan da anziana è particolarmente ispirato perché, cinematograficamente parlando, il pubblico identifica Dench con M, capo dei servizi segreti inglesi nei più recenti episodi della saga di 007.
Laddove M incarnava l'apparato, ed era preposta a dare ordini
nientemeno che a James Bond, la spia più glamour della storia del cinema e della letteratura, qui Dench è una donna qualunque, il cui unico potere è l'accesso a conoscenze scientifiche che si trasformano in informazioni riservate. Dunque lavora in direzione contraria rispetto alla mitologia cinematografica di cui l'attrice ha fatto parte nel ruolo di M.
Joan Stanley è un'antieroina, una Mata Hari insospettabile che fa del suo aspetto comune, invece che della sua bellezza pericolosa, la sua arma segreta. Ed è una spia riluttante che non accetta la sua parte nella storia (e nella Storia) con quella componente di vanità e di sprezzo del pericolo che caratterizza ogni spia da grande schermo, ma la subisce con un senso quasi cristologico del proprio dovere morale. Coerentemente, la sua femminilità è l'opposto di quella predatoria e seduttiva: è caritatevole, sentimentale e
protettivamente materna in modo del tutto diverso da M, il cui nome, una volta che quel ruolo è diventato femminile ed è stato affidato alla Dench, era diventato una sorta di riferimento alla Madre edipica pronta a mandare James, il "figlio" prediletto, in prima linea contro il nemico.