TUTTI I SOLDI DEL MONDO, JEAN PAUL GETTY ERA DAVVERO COSÌ AVARO?

L'atteggiamento del magnate, in apparenza privo di ogni umanità, potrebbe essere giustificabile (o almeno ammissibile) da un punto di vista etico.

Eugenio Radin, vincitore del Premio Scrivere di Cinema, lunedì 8 gennaio 2018 - Scrivere di Cinema

Il tuo browser non supporta i video in HTML5.

Charlie Plummer (Charlie Faulkner Plummer) (24 anni) 24 maggio 1999, Poughkeepsie (New York - USA) - Gemelli. Interpreta John Paul Getty III nel film di Ridley Scott Tutti i soldi del mondo.

Sembrerebbe quasi che lo scandalo mediatico che negli ultimi mesi ha coinvolto molti nomi dello star system internazionale e, tra questi, anche quello di Kevin Spacey, si sia riflesso con tale vigore nell'ultimo film di Ridley Scott da destare più attenzioni del film stesso. L'argomento di maggior interesse per molti giornalisti e critici è stato infatti la sostituzione, operata in brevissimo tempo e a film praticamente già concluso, di Kevin Spacey con Christopher Plummer, la cui interpretazione è tra l'altro l'elemento di gran lunga più interessante del film e che fa pensare che difficilmente qualcuno sarebbe riuscito a rendere meglio il personaggio del multimiliardario americano.

Se l'intensa prova attoriale di Plummer, unita all'autorevolezza della sua figura austera, alla nobiltà del portamento e alla freddezza dello sguardo, riesce a rendere al meglio il personaggio, il modo in cui Scott mette in scena il rapimento del nipote del ricco miliardario rischia di far apparire quel Paperon de Paperoni dell'industria petrolifera ancora più diabolico e malvagio di quanto la realtà possa concedere.
Eugenio Radin, vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Il categorico rifiuto con cui Getty rispose alla richiesta di un riscatto da parte dei rapitori del nipote è qui di fatto presentato come una decisione presa soltanto in base a criteri utilitaristici, dettata dalla paura di perdere denaro e da una cinica ma risolutissima avidità. L'atteggiamento di Getty, che sembra tanto privo di ogni umanità da renderlo il vero antagonista del film, potrebbe però essere giustificabile (o per lo meno ammissibile) da un punto di vista etico. Il rapimento del nipote e la conseguente richiesta di riscatto pone di fatto il protagonista di fronte a un conflitto morale, in cui nessuna delle due strade percorribili è condannabile.

La lotta interiore in cui Getty si trova può essere posta in questi termini: qualora ci si presentasse direttamente la possibilità di compiere un'azione positiva (salvare la vita di un ragazzo rapito), la quale avesse però come conseguenza indiretta la perpetuazione di altre numerose azioni negative (rifornire le casse della malavita con un ingente somma di denaro, utilizzabile per un numero indefinito di altri crimini), quale alternativa saremmo portati a scegliere?

Tolta ogni giustificazione meramente economica, che può aver orientato sì, ma solo fino a un certo punto, la scelta, il motivo per il quale la Storia (e con essa il film di Scott) ha demonizzato a tal punto quel magnate del petrolio, potrebbe essere il fatto che la sua decisione è risultata totalmente priva di una complicazione sulla quale solitamente l'uomo inciampa: il sentimento. Getty è un calcolatore nel lavoro come nella vita, la sua esistenza è basata sui bilanci, sulla valutazione dei pro e dei contro di ogni azione, e nel momento in cui gli è chiesto di intraprendere un'azione difficile, là dove tutti cadono sull'emotività e sul sentimento, egli fa ciò che gli riesce meglio: ne calcola le conseguenze: "Ho altri 14 nipoti. E se tiro fuori anche un solo penny avrò 14 nipoti sequestrati" il che può essere tradotto in questo modo: il miglior modo per distruggere la malavita è lasciare ad ogni battaglia le sue vittime innocenti, per quanto doloroso questo sia. Pagando il riscatto Getty salverebbe una persona, ma permetterebbe ai rapitori di compiere un'infinita serie di altri atti criminali, ne diverrebbe il finanziatore. Rifiutandosi di pagare Getty si macchierebbe le mani del sangue del suo sangue, ma eviterebbe una ben più lunga serie di crimini.

La mancata empatia nei confronti di un proprio familiare certamente rende disumano e condannabile il protagonista, incapace di amare il prossimo; ma tale disumanità, tale eccessiva razionalità calcolatrice, da un punto di vista strettamente etico, sembra non essere completamente condannabile.

Purtroppo il film di Scott preferisce evitare una rappresentazione di tale conflitto, lasciando chiuso ogni spiraglio sulla malvagità dell'austero petroliere, che compare qui come un insensibile antagonista per cui è difficile provare una qualche empatia. Forse osare un po' di più su questa prospettiva avrebbe potuto risollevare il film dall'insipidità piatta su cui finisce per cadere.

ALTRE NEWS CORRELATE
SCRIVERE DI CINEMA
Sara Gelao, Vincitrice del Premio Scrivere di Cinema - martedì 12 gennaio 2021
David Fincher filma la dura lotta tra industria e ideologia. Disponibile su Netflix. Vai all’articolo »
SCRIVERE DI CINEMA
Lorenzo Gineprini, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema - martedì 12 gennaio 2021
Uno dei prodotti Netflix più visto dell’anno appena passato che gioca con il simbolismo, la storia e lo sport. Vai all’articolo »
SCRIVERE DI CINEMA
Leonardo Magnante, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema - martedì 15 dicembre 2020
Un percorso di formazione all’interno di una piccola comunità. Su Netflix. Vai all’articolo »