Partendo dal personaggio di Andy Kaufman da lui interpretato in modo così coinvolgente, Jim Carrey riflette sul senso della vita, la realtà, l'identità e la carriera.
Il documentario di Chris Smith, presentato a Venezia e Toronto, dedicato alla lavorazione di Man on the Moon e al rapporto di Jim Carrey con l'eredità di Andy Kaufman, va in realtà molto più in profondo. Mostra la conflittualità quasi tragica con cui il comico sfida le convenzioni e l'immagine di se stesso, instaurando rapporti volutamente esasperanti e distruttivi per arrivare all'estremo. Cosa che Carrey ha ripreso recentemente a fare anche dal vivo, per esempio con la provocatoria intervista rilasciata a un evento di moda, che ha definito in pratica un'esplorazione della più totale mancanza di senso.
Ragioni per pensare che il comico sia in effetti depresso non ne mancherebbero: ha perso la sua compagna in un incidente nel 2015 e la famiglia di lei gli ha fatto causa, sostenendo che lui avrebbe procurato le droghe che hanno causato la sua morte. Nel film, che racconta anche il presente dell'attore così come i suoi esordi ben prima di Man on the Moon, non c'è traccia di questo e c'è piuttosto la sfida non meno provante di entrare dentro Kaufman. Un viaggio trasformativo, ben articolato dal sottotitolo inglese: The Great Beyond - Featuring a Very Special, Contractually Obligated Mention of Tony Clifton. Ossia un riferimento all'aldilà, già di un brano dei REM dalla colonna sonora proprio di Man on the Moon, e al tempo stesso l'ironico rimando all'irascibile alter ego di Kaufman, Tony Clifton. Profondo e ridicolo, tragico e assurdo come solo la miglior comicità può essere.