Il film con Dwayne Johnson e Zac Efron testimonia come la recente tendenza al remake, oltre ad essere rischiosa, sia ormai giunta al manierismo.
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In tempi di vuoto creativo, l'unica cosa che resta da fare è rifare. Si rifà un po' tutto, dalle più amate favole Disney ai classici della letteratura, dai cartoni per bambini ai grandi film dimenticati, fino alle serie tv icona. La tendenza generale è quella di dare una piccola ammodernata, di prendersi un po' in giro, ma soprattutto di celebrare l'originale. Perché a monte dell'operazione pare esserci un'idea pericolosa: quella dell'era meglio prima, rifare unicamente per rivedere. Così i remake aggiungono poco e diventano protesi dell'originale, rifacimenti auto referenziali.
Oggi, nel film, Baywatch fa sfoggio di vere e proprie trovate trash, improbabili ricatti, inseguimenti in barca sulle note delle hit estive e dialoghi elementari. Il nonsense che domina il film trova risposta solo nello slogan orgoglioso "questo è Baywatch: così abbiamo sempre fatto, così facciamo". Allora, questo è Baywatch: la celebrazione di un originale assente, di un fantasma che il film non riesce a resuscitare e, nemmeno, a giustificare.
L'intero film è un riferimento che si perde, che non porta da nessuna parte. Che affoga, per rimanere in tema. I cameo di David Hasselhoff e della Anderson, la parodia del rallenty, lo sfoggio del corpo esagerato di Dwayne Johnson non fanno altro che sottolineare i limiti di un film che fatica a reggersi in piedi da solo.
Il remake è diventato un genere, con i suoi luoghi comuni, le sue regole da rispettare. Il film le assorbe integralmente e le porta all'esasperazione: la dinamica del duo maschile, le citazioni, la presa in giro e la celebrazione dell'originale, la sostanziale aderenza al messaggio dell'opera prima. Ma anche i cliché dei film d'azione, di spionaggio e di formazione. Alla fine, rimane l'ombra esile della serie tv di Baywatch.