MEL GIBSON PREPARA IL SEQUEL DELLA PASSIONE

Un'impresa ardua che riguarda non soltanto il dato storico ma anche quello della fede.

Pino Farinotti, domenica 26 giugno 2016 - Focus

Da quando "The Hollywood Reporter" ha rivelato l'intenzione di Mel Gibson di dare un seguito alla sua Passione di Cristo è cominciata la fibrillazione-da-Gibson, la curiosità esponenziale che riguarda i progetti del cineasta americano che... non sai mai cosa inventerà. "Seguito" significa "resurrezione", quella di Cristo, appunto. Gibson sarà affiancato da Randall Wallace, che già aveva firmato la sceneggiatura di Braveheart e che condivide col regista l'attitudine all'eccesso e all'iperbole. L'impegno è arduo perché quella vicenda riguarda il dato storico, ma soprattutto quello della fede. Nel senso che il racconto deriva dalle scritture, nella prospettiva dei vari evangelisti, più che da verità storiche accertate e condivise. Mentre la tradizione cristiana considera, appunto, l'evento storico, la lettura agnostica, chiamiamola così, propone un'interpretazione favolistica, spirituale e mitologica. Una manna per Gibson, talento perfetto per muoversi nelle ambiguità e negli spazi che lascino libere, magari troppo, le interpretazioni. I racconti di Marco, Matteo, Luca e Giovanni sono, quasi, concordi. La sostanza non cambia. Gesù viene crocefisso e deposto il venerdì, risorge la domenica. Succede che nelle prime ore di quella domenica Maria Maddalena e altre donne vadano al sepolcro per l'imbalsamazione del corpo, ma lo trovino vuoto. Un angelo annuncia alle donne che Gesù è risorto. Poco dopo il figlio di dio appare alle donne, che danno la notizia agli apostoli, increduli. Finché Gesù si manifesta, e dopo averli rassicurati, ordinerà di portare la sua novella nel mondo.

La Passione di Cristo era un film impossibile da recensire, in modo classico, perché non si poteva non partire da due "pregiudizi", quello del credente o quello del non credente.
Pino Farinotti

Veniamo ad altri racconti, al cinema, alla sua narrazione e alle sue licenze. Zeffirelli nel suo Gesù rimane su una visione di basso profilo. Si limita a mostrare Gesù fra i suoi che parla tranquillamente, senza mostrare nulla del miracolo della resurrezione. Più mistica e hollywoodiana è l'apparizione del Cristo nella Tunica, che si manifesta da una fonte luminosa, una trovata spettacolare, una bella e forte estetica. Il regista Claudio Malaponti, in 7 km da Gerusalemme completa il racconto partendo da Cleopa, un discepolo del maestro, che camminando sulla via di Emmaus viene affiancato da Gesù, ma non lo riconosce, sa che è morto due giorni prima. Lo riconosce la sera, mangiando, da come Gesù spezza il pane. Così Cleopa, pazzo di gioia corre a Gerusalemme a dare la notizia agli apostoli. C'è dunque un ampio spazio, per Gibson e Wallace, per liberare la fantasia. Un'indicazione può arrivare dal master, la Passione, del 2003.

La Passione di Cristo era un film impossibile da recensire, in modo classico, perché non si poteva non partire da due "pregiudizi", quello del credente o quello del non credente. Critici e commentatori normalmente equidistanti e distaccati, non hanno resistito al sentimento, al coinvolgimento, sì, al pregiudizio. La Passione è stato definito pulp, horror, e via dicendo. Vanno rilevati, prima di tutto, l'attesa e il marketing. Lo si deve a Gesù, personaggio eccezionale, magari divino. Guardato al microscopio della filologia, dei vangeli, della storia eccetera il film presentava solo errori: il linguaggio, le omissioni, la divisione in buoni e cattivi, l'eccesso di violenza e così via. Si trattava di un vero manifesto di tutte le licenze che può permettersi il cinema. Il film andava dunque inteso come eccesso, come fantasia debordante. Col paradosso degli opposti: troppa filologia di linguaggio - aramaico e latino - troppa semplicità e sproporzione di caratteri. E poi i tempi, 90 minuti di torture, 2 minuti di resurrezione. Dunque errori e licenze, ma alcune scene della "Passione di Gesù" sono davvero memorabili. Quella iniziale nel Getsemani, con la sagoma di Gesù, il buio, gli ulivi neri, la paura del destino che si compirà, davvero commuove. In venti secoli di tradizione, di memorie, di omelie reiterate, forse l'istantanea della sofferenza di Gesù era diventata abitudine, è stata dimenticata e azzerata. Gibson ce l'ha riproposta con un supplemento di shock, un promemoria che può servire. In questo momento storico, dove la cultura e la religione occidentali sono taciturne, sconcertate e aggredite, il regista propone una mistica forte e una fede che sono ancora rintracciabili, se mistica e fede ti interessano. I due minuti finali in cui Gesù passa quasi invisibile nel quadro erano un'indicazione leggera di resurrezione. Adesso sappiamo che erano anche il segnale di un sequel. Non resta che attendere.

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