Il film sul disturbo dissociativo dell'identità dal finale inaspettato. Da oggi per 30 giorni su Infinity.
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Casey è una ragazza introversa e problematica, tenuta in disparte dalle compagne di scuola più popolari. Insieme a due di loro, Claire e Marcia, viene rapita da un maniaco, che chiude le ragazze in uno scantinato perché affetto da un grave disturbo dissociativo della personalità. In attesa di scoprire che ne sarà di loro, le ragazze verranno a conoscenza delle diverse personalità che coabitano nella mente del loro rapitore: un bambino, una donna e altre ancora, assai più pericolose. Il rapitore, infatti, può affidarsi a personalità più equilibrate, avendo quindi un maggior controllo del proprio corpo, oppure essere abitato da personalità ossessive e violente che riescono ad oscurare e terrorizzare le altre.
In una carriera all'insegna del coraggio M. Night Shyamalan ha sempre dimostrato di non rifuggire le sfide e Split è prima di tutto un lavoro sui generi cinematografici e su come alternarli e mescolarli oggi. Il regista si serve delle molteplici personalità di Kevin - ben 23 - per cambiare registro continuamente, intervallando toni grotteschi ad altri inquietanti o orrorifici, pur mantenendo una dominante fosca e pessimista. Sarà il finale a rivelare l'effettivo genere di appartenenza di Split con un epilogo che sa quasi di necessaria captatio benevolentiae verso il proprio pubblico.
Il DID (disturbo dissociativo dell'identità) di cui è affetto il ragazzo, è una patologia dall'indiscusso potenziale cinematografico, già affrontato da De Palma (Vestito per uccidere) e Hitchcock (Psycho); spunto che viene ripreso anche in Split e consente a James McAvoy di brillare con un'interpretazione difficilmente dimenticabile. Dallo stilista gay Barry all'ossessivo-compulsivo Dennis, dal bambino dispettoso Hedwig alla fanatica religiosa Patricia, McAvoy si prodiga in una dimostrazione delle sue doti di trasformismo (aiutato dal costumista di The Danish Girl, Paco Delgado), donando una fisicità incredibile alle differenti sfaccettature di Kevin.
Meritevole di menzione anche il lavoro del direttore della fotografia Mike Gioulakis: gli interni che trasudano perversione mentale e le tonalità cupe delle molte zone d'ombra inquadrate sembrano una versione moderna e adeguata ai tempi de Il silenzio degli innocenti.