A 30 anni dalla caduta del muro, complice l'aggressività del capitalismo globale, non sembra più un tabù professarsi apertamente marxisti. Dal 5 aprile al cinema.
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Magari non è uno spettro quello che si aggira per l'Europa e per il mondo negli ultimi anni, e forse è più che altro simile a un morto vivente. Eppure il marxismo, magari con un "neo-" davanti, è una delle correnti di pensiero politico e filosofico più in auge in questo periodo. Filosofi del calibro di Slavoj Zizek o Alain Badiou, che possiamo tranquillamente considerare superstar dell'editoria e del dibattito internazionale, si professano apertamente marxisti, e oggi - a ormai trent'anni dalla caduta del Muro di Berlino - non è più tabù professarsi tali, anche a causa dell'aggressività del capitalismo globale e l'evidente arretramento delle democrazie occidentali.
E del resto non è un caso che a trovarsi dietro la macchina da presa sia Raoul Peck, regista militante haitiano che dopo anni di clandestinità cinematografica e militanza documentaristica dirige ora un affresco storico. Nato ad Haiti, cresciuto a Berlino, vissuto in Congo, poi cosmopolita, e ancora ministro della cultura del suo paese, poi spesso negli Stati Uniti, Peck ha una biografia movimentata e coraggiosa, e una filmografia altrettanto imprevedibile. Giusto lo scorso anno, con
Meno consueto vederlo alla regia di un dramma come questo, che però sembra andare all'origine dell'attivismo politico grazie a Karl Marx, verso il quale - e qui torniamo all'aporia di partenza: una figura sconfitta dalla storia che oggi riceve attenzioni sorprendenti - nutre una simpatia indiscutibile. Qui si cela anche la mossa più astuta di Peck e degli sceneggiatori: il racconto di giovinezza. Rappresentando Karl Marx come un rivoluzionario puro, e immergendolo nei furori giovanili, ne viene stemperata la carica più attuale (che sarebbe forse diventata indigesta a una larga fetta di pubblico) per immergerla nel contesto delle ingiustizie ottocentesche dove si trova a operare. È da questo scenario che poi gli spettatori decideranno se - come Peck suggerisce - le motivazioni profonde e le sperequazioni di classe da cui l'attività di Marx e Engels prese forza si ripresentano ancora oggi, o se invece limitare l'efficacia del racconto alla sua storicizzazione.
E se è vero che talvolta sembra di trovarsi di fronte a "period drama" da piccolo schermo, è anche innegabile che il budget ristretto ha spinto Peck a concentrare tutto l'apparato emotivo e politico sui volti e sui dialoghi, lavorando in set claustrali e privilegiando gli interni. Anche le rivoluziono nascono in una stanza.