Al Pacino che si limita a fare Al Pacino non può raddrizzare le sorti di un film derivativo e museale. In anteprima al Torino Film Festival.
Alex ha un’ossessione, fare cinema, ma qualcosa lo blocca e la morte recente del padre ha complicato le cose. A sostenerlo da sempre c’è Emily, aspirante sceneggiatrice a Los Angeles. Poi una scoperta curiosa, una scatola di sceneggiature incompiute e un nome ricamato su un fazzoletto di seta (“Billy Knight) scovati tra i memorabilia del padre, gli aprono (letteralmente) la via verso un altro mondo, una dimensione magica dove regna un vecchio regista hollywoodiano disilluso.
Alec Griffen Roth, al suo esordio, sceglie di girare ‘il grande film sul cinema’, aggrappandosi, senza pudore e nessuna visione, al genere che più di altri richiede esperienza e spalle larghe. Il risultato è un filmetto che confeziona il tutto come un intreccio di significati disposti su un espositore, dove nulla trascende le inquadrature, spolverate a colpi di luci soffuse, e dove il cinema non ha altro ruolo se non quello di fare da sfondo: né immaginario, né memoria, né mistero, ma un fermaglio che permette al film di chiudersi su se stesso.