Presentato al Festival di Berlino e ora disponibile sulla piattaforma streaming di MYmovies, il film di Ali Asgari è un’opera che non urla, non ostenta, ma parla con voce intensa e composta, ricordandoci che la dignità e la libertà spesso si manifestano nei gesti più piccoli. GUARDA ORA »
La bambina segreta di Ali Asgari si presenta come un’opera di straordinaria limpidezza capace di parlare dell’Iran contemporaneo senza ricorrere alla retorica della denuncia né al sentimentalismo facile.
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Il film segue Fereshteh, giovane madre costretta a nascondere la propria figlia illegittima alla famiglia per la sola ragione di appartenere a una società che misura le esistenze secondo inesorabili codici patriarcali e moralistici.
La narrazione si dipana nell’arco di poche ore durante le quali la protagonista, con l’aiuto dell’amica Atefeh, attraversa una Teheran sospesa tra luce e ombra, tra spazi angusti e strade desolate, in cerca di qualcuno disposto a farsi custode della neonata.
Asgari dirige con rigore minimale: la macchina da presa segue il corpo della protagonista come fosse un’ombra, rendendone palpabili l’angoscia e la determinazione. La fotografia, sobria e geometrica, lavora coi chiaroscuri della città e degli interni, trasformando ogni stanza, ogni corridoio, in un palcoscenico in cui la vita e il pericolo, la protezione e la minaccia, convivono nello stesso respiro.
Non è la spettacolarità a interessare il regista, ma la profondità dei piccoli gesti: il modo in cui Fereshteh culla la bambina, il silenzio con cui interagisce con le persone (compreso Yasser, il padre della piccola, che si è rifiutato di riconoscerla), la misura delicata dei suoi movimenti. È una lezione di empatia che invita lo spettatore a riflettere sulla condizione femminile e sul significato della responsabilità in contesti sociali oppressivi.
Il film, nella sua apparente linearità, contiene una sofisticata costruzione drammatica: ogni incontro, ogni spazio, ogni rifiuto diventano il segno di una società frammentata, che non conosce il tempo della cura e della protezione.
La maternità diventa così il prisma attraverso cui osservare la rigidità delle norme, ma anche la capacità di resilienza della protagonista. Fereshteh non è solo una donna in pericolo; è l’emblema di chi, pur oppresso da leggi e convenzioni, trova modi invisibili per affermare la propria dignità e quella di chi si ama.
La bambina che custodisce non è un semplice personaggio, ma una presenza che trasforma lo spazio e il tempo: un punto di luce fragile e tenace che permette di contrastare l’oscurità circostante.
Asgari, che s’ispira a un suo cortometraggio del 2014, non costruisce un racconto di mera denuncia politica: la tensione più profonda è infatti quella della responsabilità, della discrezione, della sottrazione e della custodia della vita.
Il film si colloca in quella linea di cinema iraniano che sa combinare la concretezza della vicenda col valore universale del gesto.
Presentato con successo al Festival di Berlino, il film rimane così magistralmente sospeso tra tensione e poesia, tra osservazione minuta e riflessione morale: un’opera che non urla, non ostenta, ma parla con voce intensa e composta, ricordandoci che la dignità e la libertà spesso si manifestano nei gesti più piccoli, silenziosi e segreti, capaci tuttavia di illuminare intere esistenze.