Tre storie di donne, tre storie di coraggio: l'autrice del libro e del film La treccia racconta il film, al cinema dal 20 giugno.
Tre storie di donne, tre storie di coraggio. Tre storie in tre continenti diversi. Tre destini che si sfiorano, che si toccano, nel passaggio di una treccia di capelli neri da un continente all’altro, da una vita all’altra, da una donna all’altra. Tre storie legate da quell’imponderabile “effetto farfalla”: quella legge della fisica che dice che il battito d’ali di una farfalla a Pechino può scatenare un uragano a New York.
Si toccano, le tre storie di donne in fuga raccontate da Laetitia Colombani ne La treccia, il film – in uscita in Italia il 20 giugno – che Laetitia ha tratto dal suo romanzo. Romanzo che, in Francia, è stato un caso editoriale, con oltre 5 milioni di copie vendute, e che ha trascinato il successo del film: 9 milioni di euro incassati.
Tre storie parallele, abbiamo detto. Tre donne in fuga dalle oppressioni, dalle umiliazioni. Chi a piedi nudi, chi in tailleur e tacchi, chi in sandali e jeans stropicciati fra le pietre dorate della Puglia. In India, nelle regioni più povere dell’Uttar Pradesh, fra i dalit, i paria, gli “intoccabili”, in un Canada ultramoderno e performativo, in un’Italia di piccola imprenditoria familiare. Dell’episodio girato in Italia protagonista è Fotinì Peluso, venticinque anni, già attrice per Francesco Bruni in Cosa sarà e vincitrice, quest’anno, del David di Donatello per i giovani attori.
Il film, girato in francese, in italiano e in hindi, è punteggiato dalle musiche di Ludovico Einaudi, che con il cinema francese ha una lunga e felice consuetudine. L’autrice del libro, e regista del film, Laetitia Colombani, ha 48 anni, è nata a Bordeaux, centro del sud-ovest francese a forte vocazione culturale. A lei rivolgiamo alcune domande.
“La treccia” era il suo primo romanzo. Come è stato il suo processo creativo, dal libro al film?
“All’inizio, non immaginavo proprio che questa storia potesse diventare un film. Lavoravo già come sceneggiatrice, avevo realizzato due film, ma girati nella mia lingua, in francese. Questa storia, che si snoda su tre continenti, mi sembrava impossibile da realizzare. Allora ho scelto di raccontarla, ma in forma di romanzo, che mi concedeva più libertà. Alla sua uscita, dei produttori mi hanno contattata, per propormi di trarne un film”.
Come ha reagito?
“Mi sono chiesta se fossi all’altezza, non avevo mai affrontato set all’estero. Poi mi sono detta che la cosa che contava di più era essere fedeli al romanzo. E la sola maniera di essere sicura di questo, era che lo realizzassi io. Così, mi sono lanciata in questa grande avventura”.
Il suo film praticamente sono tre film diversi, realizzati in India, in Canada e in Italia. È stato difficile girarli in paesi così diversi, con attori così diversi?
“E’ stato, davvero, come realizzare tre film. Ho lavorato con troupe differenti, con attori differenti. Per me, ha significato scoprire altri modi per girare un film. Alla fine, ho deciso di scrivere un libro, per raccontare la mia esperienza, come scrittrice e come cineasta, in tre culture diverse”.
La Sicilia del romanzo è diventata la Puglia. Come mai?
“In effetti, nel romanzo la parte italiana della storia si svolge in Sicilia. Abbiamo scelto la Puglia per ragioni di produzione. Abbiamo girato a Conversano e a Monopoli: non conoscevo la regione, e per me è stata una meraviglia totale. Mi sono innamorata di quei paesaggi, di quelle pietre bianche”.
Si tratta di tre donne forti, che affrontano ostacoli differenti. Qual è, a suo avviso, il più difficile da superare?
“Tutte e tre le donne del film vedono la propria vita vacillare di fronte a ostacoli giganteschi. E ognuna di loro affronta una forma di discriminazione. L’italiana viene discriminata per amare un uomo che non appartiene alla sua cultura e religione, l’avvocatessa canadese viene discriminata nel lavoro, nel momento in cui è più fragile. La donna indiana è all’ultimo gradino della scala sociale”.
Gli Intoccabili esistono ancora, nei villaggi, nelle condizioni in cui li vediamo nelle scene del film?
“Vado in India ogni anno, e ho parlato molte volte con donne paria, che mi hanno raccontato le loro storie. Sono discriminate in modo molto profondo: molte di loro non vanno a scuola, si sposano contro la loro volontà, a dodici o tredici anni. Sono esposte alla violenza, a essere picchiate dai loro padri e mariti. Io volevo donare loro una voce, perché non ne hanno. E volevo far capire che quelle donne potremmo essere noi”.
Ha già fatto delle proiezioni in India? Il film è uscito, o uscirà, in India?
“Purtroppo in India non è ancora uscito. Il soggetto degli intoccabili, della casta più bassa nella società indiana, i paria, è ancora un soggetto tabù. Al cinema è molto complicato trovare un distributore per il nostro film. In televisione c’è meno censura: spero che La treccia venga visto alla tv indiana”.
Uno dei temi del film è lo scontro fra il seguire la tradizione e allontanarsene: fra il passato e il futuro. È una questione importante per lei, cercare di sfuggire al ruolo stabilito per noi dalla società?
“Credo che sia il centro del film, ciò che lega tutte le storie. Ognuna di queste donne rompe con la tradizione, vi sfugge. Sono convinta che i nemici delle donne non sono gli uomini, ma le tradizioni. Le donne sono, da sempre, private di molte libertà. Io volevo mostrare tre donne coraggiose che escono dal ruolo che la società ha assegnato loro”.
Ho letto che Babel di Alejandro Iñarritu è uno dei film che la hanno più colpita. C’è qualcosa di Babel nella “Treccia”…
“Avevo amato molto, di quel film, la struttura con tre personaggi in tre continenti. Ed è quello che appare anche in La treccia. C’è un altro tema: quello della interconnessione fra le vicende di tutti. Quello che viene chiamato l’effetto farfalla: può il batter d’ali di una farfalla a Pechino provocare un tornado a New York? Tutto è legato, in tutto il mondo. Questa cosa dei legami fra le persone è un tema importante, presente in tutto ciò che scrivo”.
Vuole raccontare la sua esperienza con Fotinì Peluso?
“In Italia ho fatto tanti provini: quando ho incontrato Fotinì, ho capito subito che Giulia sarebbe stata lei. Ha grazia, talento, bellezza e profondità. È intensa, ma sa anche regalare leggerezza. Può recitare altrettanto bene sia in italiano che in francese: abbiamo filmato in italiano, ma fra noi abbiamo sempre parlato francese, che padroneggia in modo eccellente. Ha le atout, le carte di una grande attrice”.
Si definirebbe femminista?
“Sì, certamente. Sono femminista, sono convinta che il mondo ha bisogno di uguaglianza fra uomini e donne. È essenziale. Penso a mia figlia, penso a tutte le ragazze delle generazioni dopo la mia: penso che le donne, oggi, sono vittime di violenze sessuali, fisiche, psicologiche, sociali, e che sono vittime di certe leggi che limitano la loro libertà. Attraverso la letteratura e il cinema, spero di poter fare qualche cosa affinché questa situazione cambi. Nel mio prossimo libro, continuerò a parlare di donne, di donne coraggiose. E così nel cinema che spero di riuscire a fare”.