NEL NOME DEL CORPO: PASOLINI, IL POETA PER SEMPRE NOSTRO CONTEMPORANEO

Comizi d'amore e Appunti per un'Orestiade africana in streaming su Cinema ritrovato - Fuori sala. ACQUISTA UN ACCREDITO. 

Marzia Gandolfi, venerdì 5 marzo 2021 - mymovieslive
Pier Paolo Pasolini Altri nomi: (P.P. Pasolini ) 5 marzo 1922, Bologna (Italia) - 2 Novembre 1975, Ostia (Italia). Regista del film Comizi d'amore.

L’opera di Pier Paolo Pasolini si è costituita a partire dalla difficoltà di trasmettere un’‘esperienza minoritaria’. Per realizzare questo obiettivo scriverà al debutto in dialetto friulano, rendendosi presto conto del pericolo: giocando sulla nostalgia del passato si rischia di normalizzare una minoranza linguistica. Pasolini scopre allora nel ‘discorso indiretto libero’ il mezzo per scrivere in una lingua maggiore, in cui dimorano esperienza diverse dalla sua e soprattutto differenti dall’ideologia dominante.

Ma è soprattutto nel cinema che trova lo strumento ideale per esprimere la sua passione per la realtà popolare. Contrariamente alle lingue orali o scritte, la “lingua” del cinema, anche se declinata secondo gli stili dei suoi autori o di tradizioni specifiche, è composta da frammenti di realtà ai quali è praticamente impossibile negare il potere evocativo e potenzialmente sovversivo. Nel suo cinema, l’autore, i personaggi e gli spettatori non occupano mai delle posizioni determinate ma seguono delle linee di fuga. Malgrado il ricorso frequente alla forma mitica, ogni film di Pasolini contempla differenti possibilità per scampare il destino maggioritario determinato dal ‘progresso’ del capitalismo: il sottoproletariato della borgata in Accattone e Mamma Roma, il Cristo del Vangelo secondo Matteo, gli abitanti del terzo mondo in Appunti per un’Orestiade africana - disponibile in streaming su Il Cinema ritrovato - Fuori sala-, l’erranza in Edipo re, Medea in faccia alla razionalità di Giasone, la fuga nel deserto di Teorema. L’opera di Pasolini constata progressivamente la perdita di un linguaggio proprio per esprimere le esperienze di una minoranza in seguito alla normalizzazione subita dall’Italia negli anni del ‘miracolo economico’. Questa constatazione lo conduce a sviluppare uno stile proprio di ‘cinema minore’ dove i corpi prendono il sopravvento sul linguaggio, divenuto problematico. Si spiegano anche così quegli ‘appunti’ presentati per la prima volta a Cannes.

Siamo nel 1976, ma è alla fine degli anni Sessanta che Pasolini progetta di adattare l’“Orestea” di Eschilo. L’intenzione è quella di ambientare il suo film in Africa, attraversata nel 1968 alla ricerca di luoghi ma soprattutto di corpi. Cerca i suoi personaggi, Pasolini: di un vecchio incontrato ai bordi di un villaggio farà il suo Agamennone, di una donna altera dietro il velo nero Clitemnestra. Oreste avrà senz’altro i tratti di un giovane masai, più arduo trovare l’allure di Electra perché, Pasolini ci racconta che “la sua durezza e il suo orgoglio sono rari tra gli africani”, più inclini alla dolcezza e alla modestia. Camera a mano, viaggia nel cuore del continente e prende appunti. Il suo lavoro evoca di fatto un diario di bordo che nutrirà l’opera a venire, una tragedia greca in risonanza con l’Africa postcoloniale, divisa tra tradizione e scoperta del nuovo mondo. Come le Erinni mutate in Eumenidi, così l’Africa per Pasolini entra nell’era capitalista. Progressivamente i toni si elevano e i problemi concreti di ordine professionale lasciano il posto a una riflessione sulla permanenza e l’evoluzione del sacro, sui rapporti tra la mitologia, la ragione e la libertà, sulle origini della democrazia, facendo eco alle preoccupazioni delle giovani nazioni che Pasolini visita.

Poeta o narratore, ispirato da opere classiche o creatore dei suoi propri miti, Pasolini dimora testimone. Ma qualche volta anche un po’ precettore, improntando una bella lezione dove domanda a una quindicina di studenti africani cosa pensino del suo progetto e se ha senso per loro. Appunti per un’Orestiade africana cattura il processo del suo approccio intellettuale e la reazione un po’ intimidita degli allievi davanti alla macchina da presa mentre fissano il loro interlocutore in posizione magistrale. Con un tono di amabile condiscendenza, Pasolini domanda se l’“Orestea” si può applicare all’Africa (lui non ne dubita) e se sarebbe meglio ambientarla nell’Africa degli anni Sessanta o piuttosto in quella degli anni Settanta.

 

Gli studenti gli spiegano che parlare dell'Africa in questi termini non significa molto: “non è un paese, è un continente”. Il disagio della piccola assemblea, qualificata in precedenza come “figli di papà” dell’Africa, è palpabile (e anche un po’ dolorosa). Pasolini sembra più focalizzato sulle sue domande che sulle risposte del collettivo. Questa sequenza, passo falso o no, resta una deviazione ricca di domande e di sfide nella costruzione di un ‘oggetto ibrido’, insieme sconcertante e splendido, che mescola il racconto di viaggio elegiaco e le insostenibili immagini d’archivio della guerra del Biafra, lo studio antropologico e l’innegabile fascinazione erotica dei corpi, passando per il dibattito con degli studenti africani che rimproverano in filigrana il regista di non comprendere il continente nero. Fuori dall’aula, il film prosegue l’ideale sincretico di Pasolini, cortocircuitando le culture e i luoghi, l’arcaismo e la modernità, il free jazz e le immagini della savana.

Sei anni prima, microfono alla mano, Pasolini era sceso invece in spiaggia a interrogare in modo estemporaneo gli italiani sulla loro sessualità, introducendo in Italia quel “cinéma verité” anticipato da Jean Rouch ed Edgar Morin (Cronaca di un’estate). Tra interviste collettive e capitoli ironici ad altezza di bambino, mette in discussione il discorso pubblico sulla ‘sessualità’, con le sue contraddizioni e le sue ipocrisie. Il ricorso sistematico alle domande è più giustificato che in Appunti per un’Orestiade africana. A Viareggio e poi a Firenze, a Bologna e poi a Modena e giù fino a Palermo incontra gente di tutte le classi, a mancare è solo la borghesia, si muove dall’infanzia fino all’età matura. Film inchiesta diviso in quattro parti, Comizi d’amore - disponibile in streaming su Il Cinema ritrovato - Fuori sala- cerca la tolleranza e non nasconde, come il suo autore, la propria opinione sul conformismo delle opinioni emesse, fustigando le apparenze e i tabù.

Dall’omosessualità alla prostituzione, dal matrimonio all’infedeltà, tutti gli aspetti della sessualità degli italiani sono esaminati e commentati, con gli interventi amicali dello psicologo Cesare Musatti e dello scrittore Alberto Moravia. Ma il contributo più bello resta quello di Giuseppe Ungaretti che ‘trasgredisce’ con la poesia. In viaggio tra l’apparente apertura del Nord Italia e la presunta rigidità arcaica del Sud, Pasolini fa domande e provoca imbarazzo, sorrisi o un riso difensivo. Il sesso diventa rivelatore, nel senso quasi chimico del termine, di una cultura repressiva al Nord (“resti di un’ideologia clerico-fascista”) e repressa a Sud (dove rivela secondo l’autore “la sua natura arcaica, incongrua e nevrotica”). Come sosteneva Moravia, Pasolini perviene per via indiretta a ottenere gli stessi risultati della sociologia più moderna e sottile, esponendo la mentalità di un popolo in un dato momento e continuando a portare avanti la sua parabola sul mondo. Più feconda nella sua fiction che nei documentari, che rivelano una dimensione più pedagogica, esplicativa e didattica.

Comizi d’amore, girato tra La rabbia e Il Vangelo secondo Matteo, non è il film più conosciuto di Pier Paolo Pasolini ma è uno dei più interessanti perché attraverso questioni indiscrete e interlocutori che rispondono senza riflettere troppo, l’autore sembra interrogare la propria sessualità. Quello che ascoltiamo dagli italiani è il linguaggio ancora dominante sul sesso. A Milano un uomo molto sicuro di sé espone la sua superiorità di galletto della pista da ballo, in un paese della Sicilia un vecchio uomo difende tenacemente la verginità fino al matrimonio. Ma in profondità, tutto è sul punto di cedere. Comincia anche nell’Italia perbenista un grande movimento tellurico. Le risposte raccolte da Pasolini dicono il contrario ma l’autore non si lascia ingannare. Apprezza il silenzio che dissimula (pratiche popolari libere e selvagge), lo preferisce alla falsa tolleranza, e dichiara tutti innocenti mentre fuori la lingua si normalizza e spariscono i dialetti, le lucciole si spengono nei campi e un nuovo modello di sessualità si installa. Un terreno piatto, senza più cespugli né boschi, dove l’immobilità e l’edonismo consumista saranno da ora in avanti la regola. In questo Pasolini era un visionario lucido.

Difficile comprendere invece oggi le posizioni che fu costretto a difendere nella lotta per aggirare le nuove norme dominanti. Lo scopriamo al fianco degli avversari dell’aborto o della contraccezione, constatiamo sorprendentemente lo scarso interesse per i diritti degli omosessuali. Com’è possibile che l’intellettuale omosessuale più famoso d’Italia non sia mai diventato il riferimento del movimento gay? Probabilmente perché il ‘rapporto sessuale omosessuale’ per Pasolini era un rapporto sessuale come un altro, che non doveva rendersi per forza visibile secondo le esigenze della visibilità capitalista. 

La sua posizione va contestualizzata e soprattutto letta alla luce dei pericoli del capitalismo e del fascismo sotto tutte le sue forme, specialmente la più insidiosa, quella della società dei consumi e dei mass media. Pasolini era un difensore delle diversità, un praticante dell’ironia, un combattente accanito contro le norme morali della società borghese capitalista, soprattutto delle norme eterosessuali nella elaborazione del suo eros. Inseguiva la purezza Pasolini. Per questa ragione attaccherà il nuovo fascismo con tutta la sua carne in Salò o le 120 giornate di Sodoma, prima di essere barbaramente assassinato, liberando l’Italia, improvvisamente sollevata, dal suo corpo ingombrante. Comizi d’amore e Appunti per un’Orestiade africana, in streaming su Il Cinema Ritrovato - Fuori sala, ci ricordano l’incredibile fecondità del lavoro di Pasolini e ci mostrano la forza della sua visione. La visione di un poeta per sempre nostro contemporaneo. 

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