Il film di Emanuele Imbucci rientra nel filone di quest'epoca: grande attenzione all'arte. Dal 27 settembre al cinema.
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Il co-protagonista del nuovo film su Michelangelo è Giorgio Vasari (1511-1574) artista toscano, soprattutto storico dell'arte. È titolare di un testo fondamentale: Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, una serie di biografie che raccontano le vite dei maestri fra il Trecento e il Cinquecento, tutta gente che ha insegnato al mondo. Il libro fu pubblicato nel 1550 ma 18 anni dopo l'autore volle aggiornarlo, ritenendo che un certo artista meritasse un approfondimento. Il Vasari aveva intuito che il Buonarroti, detto in termini semplici, non era come gli altri, possedeva una grazia particolare. E "come gli altri" può comprendere anche gente come Raffaello, persino come Leonardo. Michelangelo - Infinito è firmato da Emanuele Imbucci, a dare corpo e volto all'artista è Enrico Lo Verso.
Alcuni artisti sono veri attori protagonisti, come Caravaggio, Picasso, e Van Gogh, il più filmato, giustamente. Tutti nomi che fanno parte della memoria popolare. E qui ecco l'evoluzione: il cinema va oltre. Ecco Andy Warhol, pop-inventore, importante, non solo pittore. In quanti conoscevano Frida Kahlo prima del film? E poi ecco la "ricerca" su nomi di una memoria... un po' meno popolare, come Basquiat e Pollock. A Venezia Mario Martone presenta Capri-Revolution, che prende spunto da un'opera di Joseph Beuys (1921-1986) che è stato uno dei più controversi e carismatici nomi del movimento concettuale. E siamo sempre alla cosiddetta punta dell'iceberg.
Questa corrente che sposa il cinema all'arte più alta è benemerita e nobile, è un importante passo avanti. Il regista Imbucci doveva guardarsi dalla... overdose di fiction su Michelangelo, più volte visitato dal cinema: dal recente Michelangelo - Amore e morte di David Bickerstaff, al documentario Il cuore e la pietra (2012) di Giacomo Gatti. E ancora il Michelangelo di Konchalovskiy, del 2017. Ricordabile una produzione della Rai del 1964, con Gian Maria Volonté. Infine il superclassico Il tormento e l'estasi, di Carol Reed del 1965, con Charlton Heston. La narrazione di Imbucci è intelligente e affatto convenzionale. Il narratore è proprio il Vasari, uno che conosce l'argomento dal vivo. Si piazza nelle cave di marmo di Carrara, la vera casa di Michelangelo, e racconta privato e opere, sì, il tormento e l'estasi. Sono molte le opere messe a fuoco, e il privilegio non può non toccarne due fra le più importanti, la Sistina e la Pietà Rondanini.
Fu Giulio II, non solo un Papa, ma uno statista e un generale, ad affidare l'affresco della Cappella a Michelangelo. Gli offrì, nel 1508, un contratto di quattro anni e un compenso di duemila ducati. Il pontefice diede all'artista anche le proprie indicazioni, ma il Buonarroti, non era carattere da fare qualcosa che non aveva voglia di fare. Ai cardinali che contrastavano il suo lavoro, con tutte quelle nudità, rispose: "Quando Dio fece l'uomo a propria immagine non gli mise le mutande". E il Papa si schierò con lui. Quando ormai l'opera prese forma e se ne intuì la grandezza Giulio disse: "Volevo un affresco, lui mi ha dato un miracolo".
La Pietà Rondanini è un altro miracolo, persino più grande. Michelangelo ci lavorò fra il 1552 e il 1564, anno della sua morte. Dunque 16 anni. La conosciamo l'opera, i tratti presentano una forma non figurativa, imperfetta in quel senso, sono abbozzati, apparentemente non risolti. "Apparentemente". Secondo una certa corrente Michelangelo non riuscì a portare a termine l'opera. In realtà quella Pietà è pienamente conclusa: lo scultore aveva inventato il concettuale 400 anni prima. La "grazia" appunto: un rapporto privilegiato con un interlocutore che glielo concedeva.