GABRIELE CORSI: «SING STREET MI HA UNITO A MIA FIGLIA TREDICENNE»

Voce di Radio Deejay e membro storico del Trio Medusa, l'artista commenta il film, gli anni Ottanta e la sua passione per il rock.

Emanuele Sacchi, venerdì 11 novembre 2016 - Incontri

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L'incontro con l'aspirante modella Raphina (Lucy Boynton, in foto), spinge Conor a fondare una pop band. Sarà l'inizio della sua carriera.

Sing Street (dal 9 novembre al cinema) è un film dall'entusiasmo contagioso, destinato a mietere molte vittime. John Carney è riuscito nell'intento tutt'altro che semplice di coniugare le necessità di un coming of age su un ragazzo dall'adolescenza difficile e una scanzonata commedia musicale. Il risultato è destinato a convincere uno spettro ampio ed eterogeneo di spettatori. Categoria a cui appartiene anche Gabriele Corsi, noto anche come un membro del Trio Medusa, da sempre appassionato di rock.

Tra levità e profondità, un ensemble divertente e intelligente che sfiora il paradiso.
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Lo avviciniamo per approfondire le ragioni alla base di questa fascinazione per Sing Street e la sua storia di ribellione in musica.

L'intervista esclusiva

Ho saputo che il film ti è piaciuto molto. Sorge spontaneo chiederti il fatidico "perché?", quali sono le ragioni di questo colpo di fulmine?
"Sì, mi è piaciuto moltissimo e i "perché" sono tanti. Perché ha unito me e mia figlia che ha tredici anni. Perché, per quanto mi riguarda, rappresenta un tuffo negli anni Ottanta e in quella cultura, mentre per quello che riguarda lei è un tuffo in un mondo che non conosceva. Perché è un film delicatissimo, girato benissimo e scritto benissimo, e questa è una parte che si dimentica spesso: un film deve essere soprattutto scritto bene. Oltre che interpretato benissimo, da questi ragazzi che dimostrano come anche un cast di sconosciuti possa portare a un grande film. Chiaramente la colonna sonora ha un ruolo importante. Uscito dalla sala sono andato a comprare il Cd, immediatamente. E poi quella battuta fenomenale del fratello che dice: "Il rock'n'roll è un rischio, devi rischiare di essere ridicolo"...

Forse uno dei momenti più alti, che insiste sul fatto di doversi mettere in gioco per raggiungere i propri obiettivi...
"Esatto. Oggi qui a Radio Deejay (Gabriele conduce insieme al Trio "Chiamate Roma Triuno Triuno", nda) avevamo al telefono una mamma che ci scongiurava: "Vi prego, mia figlia ha quindici anni, chiamatela voi perché è il momento più difficile della sua vita e preferisce stare dietro le quinte anziché su un palco". Ed è una situazione molto simile al messaggio del film, che incita a prendersi i propri spazi senza paura. È bellissima la storia dei due fratelli, con il maggiore che gioisce perché il fratellino è riuscito a realizzare quel che lui non ha avuto il coraggio di fare. In radio abbiamo consigliato caldamente di andare a vedere il film. Sing Street ti porta a riflettere su cose che non avevi interiorizzato quando eri giovane. Ad esempio, perché ci piacevano tanto i Cure? Come esplicita nel film, perché i Cure sono happysad, potremmo dire "tristelici", come lo è la vita. È una sinusoide e va cavalcata, non puoi sperare che sia tutto pura gioia o tristezza, bianco o nero".

Al di là del fatto di apprezzare il film, in te è anche scattato il classico transfert da immedesimazione con il personaggio di Conor? Magari in virtù di qualche aneddoto in particolare?
"Beh, chi di noi non ha avuto un gruppo al liceo? Io si può dire che sia cresciuto in saletta, suonando la chitarra e cantando le canzoni dei Police. C'è quel momento di prove sconclusionate e brani che vengono scritti e abbandonati... Chiaramente ero calato in un'altra realtà, ti parlo di fine anni '80, con altri riferimenti culturali, più pop rispetto a quelli di Sing Street. Il nostro gruppo si chiamava Ergo Sum, che in romanesco voleva dire "Dunque sòno", ossia "dunque suono", e principalmente suonavamo cover dei Police. in compenso mia figlia già in prima media suonava in un gruppo dal nome ben più geniale, Quelli Di Prima".

In foto una scena del film Sing Street.
In foto una scena del film Sing Street.
In foto una scena del film Sing Street.

Anche il disagio di Conor lo hai vissuto da vicino, in prima persona?
"Io vengo da una zona molto periferica di Roma che è Cinecittà. Certo non con i livelli di disagio o disperazione del protagonista del film, ma sono cresciuto in una realtà che non si discosta così tanto dalla sua".

Quindi rispetto alle mode dell'epoca come ti ponevi? I paninari, le giacche colorate, ecc. erano sogni irraggiungibili?
"Non ne avevo la possibilità. Appartengo a quel tipo di generazione che vestiva scarpe Addas, chiaramente tarocche, e che comprava i vestiti in un posto che si chiamava "I tre ladroni", quindi puoi immaginare. Una mia zia facoltosa mi aveva regalato in effetti un Ciesse (la marca di piumino più in voga presso i paninari, nda), ma mia madre per paura che si rovinasse non me lo faceva mai indossare... È ancora nel cellophane ora (risate, nda)".

Quali sono i tuoi artisti del cuore di quel decennio?
"I Cure e i Police sicuramente, ma io ho sempre adorato gli Spandau Ballet. Infatti sono andato al concerto, che c'è stato recentemente a Roma, di Tony Hadley e mi è spiaciuto tantissimo che lui non ci fosse e al suo posto ci fosse un sosia grasso. L'avrei visto volentieri Tony... (risate, nda). Completamente obnubilato, Tony ha iniziato il concerto presentandoci anche il suo amico Jack. Daniels. Alla quarta canzone non si capiva più quale brano stesse eseguendo".

In foto una scena del film Sing Street.
In foto una scena del film Sing Street.
In foto una scena del film Sing Street.

Per poter intraprendere la tua carriera hai dovuto importi e vivere un momento di rottura come quello di Conor? Magari rispetto ai tuoi genitori?
"In realtà a casa ho sempre avuto dei fan. I miei lavoravano a tutt'altro, un ingegnere e una professoressa di matematica, non potevano darmi una grande mano in quel che facevo. La mia ribellione all'autorità si è espressa quando ho finito il liceo e mi sono iscritto all'Accademia di Arte drammatica, dove è praticamente impossibile entrare. Mi sono fatto espellere nell'arco di pochissimo tempo. Lì ho capito che veramente volevo fare questo lavoro, perché non avevo intenzione di sottostare a delle regole che trovavo insensate. Tant'è che quando ho lavorato con Gigi Proietti e gli ho raccontato questo fatto, ha esclamato: "Ah, ma allora sei bravo!"".

C'è stato in questo tuo passaggio un modello, che fosse musicale o artistico, uno spirito guida che ti trascinasse e ti ispirasse dandoti la forza di andare avanti?
"Gigi Proietti di certo è stato un grande modello artistico e umano. Musicalmente invece sono sempre stato onnivoro. Ho ascoltato di tutto e suonato di tutto. Ma se dovessimo rimanere nel campo italiano e dovessi farti un solo nome, ti direi Francesco De Gregori".

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