IO, DANIEL BLAKE E LA PALMA D'ORO

Il pamphlet politico di Ken Loach, contestato da molti a Cannes per la sua classicità, viene oggi classificato come uno dei migliori film della sua carriera.

Roy Menarini, domenica 23 ottobre 2016 - Focus

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Il tempo è galantuomo. All'epoca della Palma d'Oro al Festival di Cannes, maggio 2016, il premio a Io, Daniel Blake era stato contestato da molti spettatori e inviati, al solito irritati dal conservatorismo delle giurie. In fondo, il nuovo film di Ken Loach assomiglia a tutti gli altri del regista, e secondo i contestatori l'aver attribuito l'ennesimo riconoscimento a un regista così assestato era un'occasione perduta. Poi, col passare dei mesi, queste polemiche si sono assopite e il nuovo pamphlet di Ken il rosso ha raggiunto le sale circondato da lodi quasi unanimi. In alcuni casi, Io, Daniel Blake viene persino classificato come il miglior film della sua carriera.
Cercando di ragionare più pacatamente e senza pulsioni gerarchiche nella filmografia del cineasta inglese, bisogna intanto osservare i dati anagrafici. Ebbene, quest'anno Loach ha compiuto 80 anni e festeggerà tra pochi mesi il mezzo secolo di lungometraggi. Si tratta di un traguardo che ha dell'incredibile: per alcuni la sua cocciutaggine è sinonimo di testardaggine e ideologismo, per altri fa semplicemente rima con coerenza.
Tutto, di fronte a Io, Daniel Blake, sembra confermare lo status quo della sua filmografia.

Il tema delle ingiustizie lavorative, l'esclusione dei più deboli dal consesso sociale, gli ostacoli che la burocratizzazione pone ai meno istruiti, la ferocia del sistema nascosta nelle regole apparentemente asettiche, lo spaccato dei quartieri proletari, la solidarietà tra le classi subalterne (forse il dato più contestato al regista in quanto inverosimile), la sensazione che tutto congiuri per portare i protagonisti spalle al muro.
Roy Menarini

Al tempo stesso, però, su Loach ha sempre prevalso - complice la sua personalità militante e pubblica - il contenutismo delle interpretazioni, dimenticando che Loach si è fatto le ossa nel nuovo cinema inglese, ha sperimentato formule e codici, ha cercato di stare al passo con la mutevole società che raccontava, ha sapientemente dosato opere più drammatiche come questa e sprazzi di commedia, come Il mio amico Eric o La parte degli angeli, e ha letteralmente inventato un modo di dirigere sequenze collettive e di dialogo (con la polifonia delle voci e il realismo delle sovrapposizioni).

Un'immagine tratta dal film Io, Daniel Blake.
Un'immagine tratta dal film Io, Daniel Blake.
Un'immagine tratta dal film Io, Daniel Blake.

I suoi modelli sono paradossalmente italiani.

Se la fonte "battesimale" del suo cinema sono i film di De Sica/Zavattini (Ladri di biciclette essendo paradossalmente il film più "loachano" della storia del cinema), ancora dalla tradizione nostrana egli pesca la capacità di costruire sprazzi ironici nei personaggi secondari o nei momenti di alleggerimento del film (si pensi al rapporto non troppo nascosto tra Piovono pietre e Prima comunione di Blasetti).
Roy Menarini

Ebbene - alla luce di questa filmografia, di questa tenuta, di questa precisione antropologica, di questa onestà intellettuale - quali altre strade dovrebbe prendere Ken Loach? E perché? O, riformulando la questione, il fatto che un suo film riconoscibile e classico rappresenti comunque ancora oggi (soprattutto oggi) un picco del cinema politico contemporaneo, ciò dovrebbe costargli una rottamazione da parte delle giurie?
Come sempre, dobbiamo ragionare sulle domande che ci poniamo. Anche perché, per quanto si notino tutti i trucchi di scrittura che il regista e il fido sceneggiatore Paul Laverty usano per inchiodare lo spettatore, ci sono singole sequenze che all'improvviso colpiscono nel profondo e sconvolgono senza poter fare a meno di commuoversi. La scena in cui Katie, allo stremo delle forze, mangia di nascosto da un barattolo di fagioli nel dispensario di una specie di Caritas all'inglese, rompe ogni sospetto di accademismo e mostra brutalmente ciò che Loach predica: si possono fare tutte le discussioni ideologiche del caso, ma le singole vicende dei singoli esseri umani in condizione di povertà eccedono qualsiasi teoria sociale.

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