BUIO IN SALA, RIVIVE L'INCANTO DI QUARTO POTERE

Rivedere il capolavoro di Orson Welles è ancora un'idea grande e bella. Al cinema in questi giorni in una versione restaurata.

Pino Farinotti, mercoledì 3 aprile 2024 - Focus
Orson Welles (George Orson Wells) 6 maggio 1915, Kenosha (Wisconsin - USA) - 10 Ottobre 1985, Los Angeles (California - USA). Interpreta Charles Foster Kane nel film di Orson Welles Quarto potere.

Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles è stato restaurato ed è tornato nelle sale. Idea grande e bella.

Premessa. Io sono figlio del Sessantotto. Come molti ho vissuto quella stagione quando si pensava di poter cambiare le cose. Ma di cose ne abbiamo cambiate quasi nessuna. Sappiamo. Ma quella passione, quelle istanze, quelle idee, quell’entusiasmo, quell’impegno, quella bella rabbia, quegli anni della giovinezza, “comunque”, non me li toglie nessuno.

La domanda: ma cosa c’entra tutto questo con Quarto potere? C’entra. Trattasi di formazione. Di educazione alla cultura e al sentimento. Molti di noi frequentavano le sale d’essai, io ero molto assiduo. Allora venivano programmati cicli, rassegne: spettacolo, didattica, storia. La formazione che ho detto sopra. Vedevamo passare il grande cinema del mondo: l’Espressionismo tedesco, il Fronte popolare francese, la potente visione delle opere del nord, Svezia e Danimarca, il nostro realismo che dominava, la cultura sconosciuta e seducente del Giappone. E poi naturalmente la Hollywood degli anni d’oro. Gli anni di Quarto potere.

Adesso, come allora, lo rivediamo nel buio della sala. Molti definiscono quel titolo il più grande film di sempre ed è certo arbitrario esporsi in un assoluto quando si tratta di cinema, ma i segnali sono molti e forti. Uno, mi dispiace un po’ dirlo, è il sollievo che abbiamo provato in molti quando Quarto potere ha scalzato dal primo posto della classifica, che faceva, e fa ancora, testo della Sight and Sound, La corazzata Potëmkin. Senza nulla togliere al valore e al significato di quel film russo, che continua a rimanere oggetto di studio nelle scuole.  

Aveva 26 anni Welles quando concluse le riprese del film, i cui contenuti li racconto nell’ultimo stralcio dell’editoriale. Orson era già famoso, aveva già espresso quel talento che gli avrebbe conferito, non impropriamente, il titolo di “genio” e che avrebbe fatto di lui uno dei più grandi artisti del Novecento. C’è un film del 1999, Rko 281: la vera storia di Quarto potere, diretto da Benjamin Ross che racconta con ottima credibilità la vicenda di quella produzione.

Da tempo Welles coltivava l’idea di fare un film ispirato a William Randolph Hearst, gran magnate dell’editoria americana. Coinvolse il produttore della Rko John Houseman e lo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz. I rapporti non furono così sereni perché ciascuno nutriva le proprie ambizioni, perché ormai appariva chiaro che quel film avrebbe fatto la storia. Ma l’ostacolo maggiore era proprio il potente Hearst che, informato minuto per minuto del procedere della produzione e vedendosi coinvolto anche nel privato più intimo, cercò in tutti i modi, con denunce, persino minacce, di bloccare la lavorazione. Welles, che non era tipo da farsi intimidire, procedeva per la sua strada. Ma ci fu un momento in cui parve che Hearst potesse prevalere. Ma la fortuna, se vogliamo chiamarla così, baciò l’artista. L’editore morì.

Così Orson poté ottenere il budget necessario, che Hearst era riuscito a bloccare, e terminò l’opera. “Opera”, termine che si può completare con “d’arte generale”, vide così la luce il primo maggio del 1941 negli Usa. In Italia si dovette aspettare che passasse la guerra e il primo dopoguerra: arrivò il 25 novembre del 1948. Il film ebbe 9 nomination all’Oscar vincendo la statuetta per la sceneggiatura originale di Welles e Mankiewicz.
 

Il Dizionario Farinotti gli assegna ben cinque stelle, il massimo voto possibile e Morando Morandini si associa assegnando anch'egli cinque stelle a Quarto potere nella sua guida (anche qui il massimo possibile). Anche il Dizionario dei film di Paolo Mereghetti gli assegna quattro stelle, il massimo.

 

IL FILM - Dal Dizionario Farinotti
Quarto potere (Citizen Kane) - 5 stelle
Regia di Orson Welles. Con Ray Collins, Dorothy Comingore, Joseph Cotten, George Coulouris, Agnes Moorehead, Everett Sloane, Paul Stewart, Ruth Warrick, Orson Welles.
Si narra la vicenda di Charles Foster Kane, magnate dell’editoria. Il film inizia con un flash-back. Kane è morto, si cerca di interpretare la sua incredibile personalità, le sue speranze e le sue azioni. L’uomo, morendo, ha pronunciato la parola “Rosebud”. Un giornalista si assume l’incarico di venire a capo del mistero incontrando le persone che furono più vicine al magnate. Comincia dal suo più grande amico, Leland, che sostenne Kane fin dall’inizio, quando il grand’uomo sembrava animato da irresistibile spinta di onestà e fu da questi licenziato quando non si schierò dalla sua parte in una vicenda di scarsa importanza.

Appare un assistente di Kane, che conosce alcuni fatti, appare la seconda moglie, una cantante con le virgolette, come venne definita per il suo poco talento. Kane tentò anche la via politica, ma venne fermato con un ricatto. Conobbe tutti i grandi uomini del suo tempo. Raccolse in un incredibile castello milioni di cimeli e di cianfrusaglie. Ed ecco la soluzione del mistero: “Rosebud” era il nome della piccola slitta con cui Charles giocava da bambino. Come a dire che a fronte di una vita così articolata, importante, decisiva per molti, rimane un pezzo di legno che brucia in una caldaia.

Titolo santificato dal cinema. Da molti ritenuto degno leader di una classifica ideale di film. Fu girato nella seconda metà del 1940 quando Welles aveva appena venticinque anni. Il regista fece un film allarmante, incredibilmente pensato, nei contenuti e nella tecnica. Era il trionfo del cinema per il cinema, dove niente è reale e naturale, dove le luci arrivano da fonti impossibili (celebre la sequenza delle ballerine alla festa, che vengono illuminate dal pavimento). Welles usò obiettivi particolari per dare significati espressivi a seconda di ciò che voleva comunicare: il soffitto a opprimere appena sopra la testa, il grandangolo che isola, piccolissimo, il soggetto; i giochi di ombre e di luci, segni di scuola tedesca, indicano precarietà e una fine che non sarà certamente lieta. Welles, che aveva già stupito gli americani coi suoi geniali interventi radiofonici (famoso quello dell’invasione della Terra da parte dei marziani, tanto realistico da sconvolgere il Paese), li stupì con un film che rappresentava l’esatto opposto del sogno americano raccontando la vicenda di un eroe che finisce male.

Orson Welles si ispirò alla vera storia dell’editore William Hearst e introdusse per primo nel cinema la citazione freudiana, alla quale avrebbe presto attinto un grande maestro come Hitchcock. Il film esce dal quadro del suo tempo, rimane un manifesto sempre vivo.
Drammatico; b/n; 120’; USA, 1941.

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