SILENCE, L'EPOCALE GESTO UMANO (E CINEMATOGRAFICO) DI SCORSESE

Il regista cerca nel Seicento e in una tragica persecuzione contro i cristiani i segni di una fede collettiva vissuta nel contesto più impervio. E, invece che certezze, semina dubbi.

Roy Menarini, lunedì 16 gennaio 2017 - Focus

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Nell'agosto 2014, l'ISIS avviò, nei confronti del popolo degli Yazidi, una vera e propria persecuzione. Considerandoli apostati per le loro convinzioni (gli Yazidi credono nei cosiddetti Grandi Angeli e in un Dio primordiale), il sedicente Califfato invase le loro terre e, dopo averne uccisi a centinaia, diede loro un'opportunità: abiurare alla propria religione e islamizzarsi oppure essere torturati. La gran parte degli yazidi andò incontro alla morte pur di non cedere e le donne yazide, rifiutando di diventare mogli e schiave degli jihadisti, furono in gran parte stuprate e imprigionate. Ogni immagine e ogni raffigurazione del sacro era dall'ISIS considerata apostasia, come del resto è noto nella iconoclastia furiosa e arcaica del gruppo islamico (autore della distruzione di Pamira). Gran parte del mondo si chiese: ma perché gli yazidi non hanno, anche solo formalmente, finto di tradire la propria religione?

Basterebbe forse questo per dire dell'attualità di Silence di Martin Scorsese, che passa - secondo molti commentatori - come un fatto quasi personale per il regista, un'ossessione finalmente affrontata e forse risolta (come a dire: bene, ti sei tolto lo sfizio, ora guardiamo avanti). E invece, in questo film magmatico, squilibrato, potente, strano, al tempo stesso incerto e perfetto, si trova processata per intero la civiltà contemporanea, la sospensione tra arcaismo e tecnologia, tra ipermodernità e ritorno del tribale, che riguarda tutti noi - e non solo nel conflitto tra civiltà.
Roy Menarini

Scorsese, però, con Silence fa di più. Un gesto profondamente umano, di contenuto. E un gesto cinematografico, che forse ne deriva e forse ne è alla base (almeno pensando a chi, come Scorsese, vive la propria cinefilia come un elemento di fede: e chi conosce e studia la cinefilia, quella vera, sa quanto essa tenda alla metafisica e quanto ricerchi l'assoluto, ricerca persa in partenza e per questo ancora e ancora avidamente affrontata).

In foto una scena del film Silence.
In foto una scena del film Silence.
In foto una scena del film Silence.

Il gesto umano è epocale. Scorsese, invece che interrogarsi in modo ombelicale sul suo cristianesimo sofferto (di cui sono impregnati tutti i suoi personaggi), decide di cercare nel Seicento e in una tragica persecuzione contro i cristiani i segni di una fede collettiva vissuta nel contesto più impervio. E, invece che certezze, semina dubbi: i limiti dell'evangelismo, la credulità popolare, la sincerità della fede, la veemenza della Grazia improvvisa, il rapporto con le altre culture, l'equilibrio tra il proprio sacrificio e la messa in pericolo degli innocenti, le interpretazioni geografiche della dottrina universale, la speranza nell'infallibilità del Padre (Ferreira) e l'accettazione della propria sconfitta come esercizio di umiltà del proprio credo.

Scorsese pone interrogativi giganteschi, che sembrano ridicolizzare il presente, spazzare via le infime discussioni di cui si occupa l'agenda dei media, scrollarsi di dosso la sconcertante materialità dei problemi quotidiani - spesso gestiti con grettezza ed economicismo - che assillano l'uomo occidentale.
Roy Menarini

Eppure (tornando all'inizio) esistono parti di umanità che continuano ad affrontare questi conflitti, queste scelte, questi sacrifici, che proseguono nella lotta tragica contro l'oppressione e il genocidio religioso. Silence è un film contro il relativismo? Non abbiamo risposte, ma certamente è un film alieno, che rischia - per limiti del pubblico - di essere considerato un pittoresco grido nel deserto per una rifondazione umana di cui pochi paiono sentire la necessità profonda.

In foto una scena del film Silence.
In foto una scena del film Silence.
In foto una scena del film Silence.

Il gesto cinematografico è ancora più adito. Fare un film sulla forza dei simboli e delle icone negate è di per sé un progetto eccezionale. Per Scorsese si tratta di un ribaltamento radicale. Laddove nei suoi film metropolitani la simbologia religiosa si insinuava per allegoria, stavolta accade il contrario: Silence ha come oggetto la religione cristiana ma i suoi simboli vengono denegati, e possono essere osservati solo fuggevolmente (piccole croci di legno, i grani di un rosario, disegni, piastrine con la raffigurazione della Madonna), salvo poi doverli calpestare o umiliare come se fossero la cosa più pericolosa del mondo. I persecutori sono terrorizzati dalle icone, e il cinema è l'arte iconica per eccellenza, il trionfo del visivo, di cui la cinefilia vale come religione laica. Un corto circuito tra rappresentazione, immagine e figura che attraversa tutto il film, rendendo Silence una sfida clamorosa al cinema contemporaneo e alla sua mancanza di tensione verso l'assoluto, alla sua reticenza a mettere davvero in discussione il mondo.

Che poi il film di Scorsese talvolta "non funzioni", o abbia momenti di discontinuità, o si permetta una galleria di personaggi che variano imprevedibilmente dall'ingenuo al perfido, dallo ieratico al tragicomico (come il "Giuda buffone", Kichijiro, personaggio chiave dell'opera), non fa che testimoniare della febbrile libertà con cui l'autore americano ha girato questa pellicola.
Roy Menarini

Chi ha dimestichezza con i titoli di testa e di coda, si soffermi su numero e composizione di produttori e produttori esecutivi: un gruppo eterogeneo e spesso surreale di finanziatori che, attratti dal nome di Scorsese, gli hanno permesso questo film lontano da Hollywood, girato nel segno di Mizoguchi (ma non solo), attraversato da una nebbia calda che, paradossalmente, sembra farci vedere più chiaro.

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