La diva triste che diceva: "Gli uomini vanno a letto con Gilda, ma si svegliano con me. Nessuno può essere Gilda 24 ore al giorno".
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Il mito di Rita Hayworth inizia con una scena iconica. Il film è Gilda. Ma anche lei è Gilda, la donna del boss che, ubriaca e infelice, canta "Put the Blame on Mame", spiata da dietro le persiane di una bisca di lusso di Buenos Aires da Glenn Ford, il suo Johnny. A figura intera e al centro dell'occhio di buio, Gilda si agita appena davanti ai tavoli dei clienti. Poi basta un gesto per far capitolare noi e loro. La testa si volta di scatto e fa ricadere la folta chioma (che dovrebbe essere rossa per scelta degli esperti visagisti di Hollywood, ma in quel bianco e nero lucidissimo è solo luminosamente chiara) all'indietro. Un primo piano ci regala il suo volto che, con un altro scatto, si libera di parte dei capelli che la coprivano, lasciando l'altra parte nascosta. Gilda continua a ballare così. Selvaggia. Inebriata di una provocante allegria. Johnny si fa avanti nella piccola folla per vederla meglio, appena in tempo per osservarla mentre sta addirittura cantando coi capelli all'ingiù. E dopo un altro piano nel quale si tiene i capelli alzati, comincia lo spogliarello. Prima il lungo guanto nero, lentamente arrotolato, mentre racconta del povero Dan McGrew del Klondike. Fa in tempo a farlo roteare e poi la canzone finisce... ma non lo spogliarello. "I'm not very good with zippers!", dirà a un certo punto, giustificando il fatto di non potersi togliere di dosso l'abito da sera. Quando chiede aiuto, due uomini si lanciano verso di lei. Quasi litigano per poterla denudare. Ma la portano via. Solo uno schiaffo di Johnny la farà rinsavire dalla sua sbronza vendicativa.