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Quello di Marco Polo era un racconto troppo cinematografico per non diventare una serie tv. Il viaggio, l'esotismo, terre sconosciute, i regni, gli intrighi e via dicendo. Questa serie che arriva adesso con la sua seconda stagione su Netflix, è il gioiello per il piccolo schermo di casa Weinstein, i due fratelli terribili del mondo di Hollywood cne ne hanno fatto un prodotto perfettamente in linea con il catalogo Netflix: dura, estrema, appassionante e contemporanea. Marco Polo, ovvero Lorenzo Richelmy, più che uno studioso è un avventuriero nel mondo del kung fu, un protagonista più da Salgari che da Il Milione.
Da I Borgia fino a Il trono di spade (con tutte le concessioni di fantasia del caso), passando per Da Vinci's Demons, Spartacus e I Tudors, i secoli che ci precedono somigliano ad una versione spregiudicata del nostro presente, una in cui tutto ciò che noi nascondiamo è invece esposto. Pedofilia, incesto, tradimento e intrigo, siamo disposti ad accettare i personaggi peggiori e le violazioni più ingiuste se queste esistono in un luogo e un tempo che riteniamo più selvaggi dei nostri.
È molto facile in tutto questo farsi delle domande sul realismo storico, sulla plausibilità o ancora sull'aderenza del Marco Polo di Lorenzo Richelmy a quello che abbiamo conosciuto dagli studi scolastici. Forse però è la maniera peggiore di approcciare la serie.
La sola scelta di avere un protagonista molto giovane e non molto maturo è significativa in questo senso (anche Da Vinci's Demons faceva lo stesso), porta tutto il racconto su un terreno istintivo e d'azione maggiore, porta tutti gli eventi a risoluzioni più sbrigative lasciando un tempo diverso e separato all'intrigo. Tanto quanto il protagonista che dà il titolo alla serie conta infatti il Kublai Khan di Benedict Wong, vera guida del tono della serie, un regnante spietato ma dotato di una profondità ideologica.
Non a caso l'arma in più della serie, rispetto alle sue concorrenti, è un rapporto con l'altro, cioè con la Cina. Il che significa sia una concreta interazione tra razze e mondi diversi nella trama, che un rapporto particolare tra generi.
Questo passa soprattutto per il recupero di figure tipiche di quel mondo, come il maestro d'arti marziali cieco, l'equivalente asiatico del pistolero solitario. Nell'andare a prendere l'universo narrativo che fiorisce a margine della via della seta, come del resto ora al cinema vogliono fare anche Jackie Chan e John Cusack in Dragon Blade, Marco Polo dunque sposa anche il cinema cinese, le sue esagerazioni, la sua filosofia delle arti marziali e la sua maniera di proiettare valori molto semplici su uno scenario grandioso, affinchè la loro ombra sia la più grande possibile.