Le ferite non ancora rimarginate della guerra nell'ex Jugoslavia pongono quesiti da cui non si può sfuggire. Presentato nella sezione Orizzonti, disponibile nella Sala Web di Venezia e dal 6 aprile al cinema.
Teona Strugar Mitevska porta nuovamente sullo schermo la condizione della donna affrontandola da una diversa prospettiva sia storica che sociale. Ci ricorda che al di là del confine ad Est del nostro Paese c'è un mondo non ancora realmente pacificato. Le cronache recenti hanno riferito della crescente tensione tra Serbia e Kosovo ma la forza di un cinema come quello della regista, che è nata a Skopje nel 1974 e che quindi ha vissuto direttamente tutto quel periodo, è capace di offrirne una lettura tanto profonda quanto emotivamente forte.
I quesiti che ci pone sono al contempo universali e localizzati. Localizzati perché le ferite brutalmente inferte da un conflitto che ha visto esplodere odi etnici e religiosi che hanno portato a massacri e a violenze inenarrabili sembrano ancora aperte e a rischio costante di infezione a più di trent'anni dall'inizio delle ostilità. Sono anche però quesiti universali che pone il problema della possibilità o meno del perdono.