JAZZ NOIR, UN BUON ESORDIO CHE INDAGA SUGLI ULTIMI GIORNI DI CHET BAKER

Un’opera prima che coglie ogni occasione per scagliare, come un coltello al cuore dello spettatore, l’intensità straziante di un uomo fattosi strumento. Al cinema.

Raffaella Giancristofaro, lunedì 22 novembre 2021 - Recensioni

Il 13 maggio 1988 il cadavere di Chet Baker, genio indiscusso della tromba jazz, viene ritrovato sul marciapiede davanti all’albergo in cui stava alloggiando ad Amsterdam. Il detective Lucas indaga: è stato incidente, suicidio, o regolamento di conti operato da qualche pusher con cui Baker, eroinomane, era indebitato? Lucas ne incontra il manager, l’amico, il medico compiacente e innamorato di lui. Cosa più rilevante, tra una domanda e l’altra, ascolta la musica dolente e tremendamente catturante di quell’“angelo caduto”: “Come se avessi le ali” è il titolo dell’unica autobiografia dell’artista e il motivo angelico corre nel film, sotto forma di idealizzazione di chi sa toccare le anime con poche note essenziali ma che è anche un essere imperfetto, talvolta disgustoso. Molto più che una musica: un fluire di fatica esistenziale, voce di sabbia, dolcezze e colpe, miraggi e rimpianti, che riporta costantemente Lucas alle immagini di rimorso per la violenza esercitata sulla propria compagna, proprio come Chet infieriva sull’ultima amante, Sarah.

L’indagine poliziesca è pretesto per suggerire un rispecchiamento, un’identificazione. Perché come si dice in apertura, “il blues scorre attraverso tutti noi […]. Finché la gente avrà problemi, il blues non morirà”. Jazz Noir infatti è soprattutto un film di uomini insicuri, soli, incapaci di mostrare le proprie emozioni.
 

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