JONATHAN LETHEM PREMIATO AL NOIR IN FESTIVAL: QUANDO IL GENERE È AL SERVIZIO DELLA LETTERATURA

Lo scrittore statunitense ha ricevuto a Como il prestigioso Raymond Chandler Award.

Emanuele Sacchi, venerdì 13 dicembre 2019 - Festival
Jonathan Lethem .

L'albo d'oro del premio Raymond Chandler Award, assegnato da 31 anni dal Noir in Festival, può vantare nomi indiscutibili della letteratura del Novecento: Graham Greene e Fruttero & Lucentini, Mickey Spillane e George P. Pelecanos. Quale miglior modo quindi di proseguire la sequenza che assegnare il premio a uno dei maggiori romanzieri americani contemporanei?
Jonathan Lethem, nato a New York nel 1964 e trasferitosi poi in California, si è in realtà dedicato solo sporadicamente alla letteratura di genere in senso stretto: la fantascienza di "Concerto per archi e canguro", il giallo dell'ultimo "Il detective selvaggio", ad esempio. Ma è come se i generi e la cultura pop, alta e bassa insieme, abbiano permeato tutta la sua carriera di scrittore, trasformando le sue opere in altrettanti piccoli prodigi di melting pot culturale.

Da un lato capaci di funzionare come romanzo in senso stretto, coinvolgendo sul piano narrativo; e dall'altro come antenne che captano lo spirito del tempo, strumenti artistici per misurare lo stato delle cose.
Emanuele Sacchi

In questo senso è particolarmente indicativo l'ultimo lavoro di Lethem, "Il detective selvaggio", uscito da noi per La nave di Teseo: attraverso la sparizione di una ragazza e l'indagine che ne segue per ritrovarla, ha luogo la scoperta di un'America sommersa e invisibile, che vive nel deserto tra la California e l'Arizona, divisa in due tribù, gli Orsi e i Conigli. I primi sono brutali e primitivi, una sorta di ritorno a leggi barbariche, dove i secondi, a prevalenza femminile, sono quel che resta dell'utopia hippie e del sogno di poter vivere al di fuori da leggi e società imposte dal capitalismo.

Anche se la vicenda non si svolgesse durante i giorni che precedono e seguono l'insediamento di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti, sarebbero più che evidenti i riferimenti alle lacerazioni attuali nel Paese e a come queste siano legate a tematiche di identità sessuale e rivendicazioni di diritti da parte delle donne. Anche uno dei romanzi più schiettamente di genere tra quelli scritti da Lethem, quindi, apre a molteplici canali di discussione, rifiuta di essere incasellato, induce a pensare, al di là di ogni superficie.

Così come il precedente "Anatomia di un giocatore d'azzardo" era qualcosa più di un noir sul completo reset di una identità, alla maniera dell'Humphrey Bogart di "La fuga", o "Brooklyn senza madre" e "La fortezza della solitudine" andavano oltre il mero dato autobiografico di un ragazzo cresciuto, perdendo presto la madre, in un quartiere di Brooklyn nella turbolenta New York degli anni Settanta. Proprio quella città sporca e pericolosa, piena di incendi e scioperi, ai limiti dell'invivibile, ma in cui tutto poteva avvenire è come un'ossessione per l'autore: è il luogo che Lethem non si stanca mai di raccontare, in cui nacquero punk, hip hop e mille altre correnti artistiche.

A Como per ricevere il premio Raymond Chandler, Lethem parla di tutto questo e delle influenze imprescindibili della sua carriera, quali Philip Dick o Chandler stesso. E di cinema, naturalmente, di come questo abbia contribuito a formare il suo immaginario e di come oggi avvenga il fenomeno opposto, con i libri di Lethem che sono tradotti in film. Un compito non facile, con cui si è cimentato per primo Edward Norton, che ha recentemente realizzato l'adattamento di "Brooklyn senza madre" (Motherless Brooklyn (guarda la video recensione)), visto da noi alla Festa del cinema di Roma.

La versione di David Lynch di "Amnesia Moon", di cui il regista acquistò i diritti, resta invece solo un sogno mai realizzato. Ma nella ricca produzione di Jonathan Lethem figurano anche racconti, graphic novel e saggi: tra questi "L'estasi dell'influenza" è espressamente dedicato dallo scrittore alle visioni cinematografiche che lo hanno segnato e ispirato, alle 14 visioni di Blade Runner e ad altre ossessioni. Perché la virtù dei grandi è quella di non nascondere cosa li abbia formati, anzi, di volerlo condividere con più persone possibile.

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