REGINA, OTTIME INTENZIONI MA MANCA DI SOTTIGLIEZZA "DARDENNIANA"

La storia di Regina e di suo padre. E della loro vita fino al giorno in cui cambierà tutto. In Concorso al 38TFF.

Paola Casella, mercoledì 25 novembre 2020 - Recensioni

Luigi è rimasto da solo a crescere sua figlia Regina da quando la moglie è venuta a mancare. Per questo ha abbandonato il sogno di una carriera artistica come bassista, e riversa le sue speranze sulla figlia 15enne che ha un talento canoro meritevole di un palcoscenico adeguato. Il legame fra Luigi e Regina è intenso e paritario: lui le tinge i capelli, lei gli pratica le iniezioni necessarie per attutire il dolore che prova alla schiena - segno tangibile della sua fatica a sostenere il peso del (suo) mondo. E c'è già qualcosa di impropriamente allineato in quella simmetria, giacché un padre dovrebbe essere più un genitore che un compagno di giochi. E quando i due restano coinvolti in un incidente del quale condividono la responsabilità le loro strade cominciano a dividersi: Regina, schiacciata dal senso di colpa, va alla ricerca di una redenzione, Luigi invece ignora i propri obblighi e si rifugia in un diniego sistematico.

Il tema di Regina, esordio al lungometraggio di Alessandro Grande dopo il David di Donatello per il corto Bismillah, è davvero importante e necessario: piacerebbe ai fratelli Dardenne, questa parabola su come si debba imparare ad essere uomini e padri invece di continuare a "fare cazzate". Il film affronta di petto la difficoltà che molti genitori contemporanei hanno nel dimostrarsi all'altezza del proprio compito e del proprio ruolo nei confronti dei figli, che dunque si ritrovano privati dei punti di riferimento fondamentali. Quella della giovane protagonista è dunque una peregrinazione in cerca della consapevolezza che manca a suo padre, mentre il traccheggiare ostinato di Luigi è in essenza il rifiuto di confrontarsi con la realtà.

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