La foresta dei pugnali volanti

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Un film di Zhang Yimou. Con Ziyi Zhang, Takeshi Kaneshiro, Andy Lau, Dandan Song Titolo originale Shi mian mai fu. Azione, Ratings: Kids+13, durata 119 min. - Cina, Cina 2004. - Bim Distribuzione uscita venerdì 21 gennaio 2005. MYMONETRO La foresta dei pugnali volanti * * * 1/2 - valutazione media: 3,64 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Duelli, boschi, traditori e intrighi di palazzo. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 17 dicembre 2018

LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI (CINA/HK, 2004) diretto da ZHANG YIMOU. Interpretato da TAKESHI KANESHIRO, ANDY LAU, ZHANG ZIYI, DANDAN SONG
Wuxiapian è un vocabolo che, già nel 2004, cominciava a riacquistare il suo fascino e, dopo aver assistito alla proiezione di questo film, capirne la ragione diventa un gioco da ragazzi. Yimou, dopo il fantastico Hero, realizza un’altra opera sospesa sul filo del tempo e avviluppata da un’ impalpabile aura poetica. Anno 859 d.C.: il declino della dinastia regnante dei Tang è sotto gli occhi di tutti. Numerosi gruppi sovversivi caldeggiano nell’oscurità il crollo del governo imperiale, ritenuto responsabile della decadenza morale in cui riversa la Cina da molto tempo. Una danzatrice cieca è sospettata di appartenere alla temibile fazione denominata "Il Clan dei Pugnali Volanti". Due ufficiali dell’esercito tentano di far uscire allo scoperto gli alti vertici della casata fuorilegge adoperando la ragazza come esca, ma poiché se ne invaghiscono, l’amore gioca loro il decisivo tiro mancino, mandando in rovina i piani di cui erano stati incaricati. Chris Doyle (Hero) è stato rimpiazzato come direttore della fotografia da Zhao Xiaoding, ma il registro finale rimane identico: il risultato è un lavoro sovraccarico di colori che domanda di essere guardato e attrae lo spettatore mozzando il fiato in ben più di un’occasione. Non a caso lo spettacolo dà le vertigini a livello visivo, è talmente colmo di contrasti e sfumature da risultare spesso stupefacente nello svariare sul fronte dello spettro del visibile in modo fluido ed emozionante. Non occorrono simbolismi astrusi se ci si lascia trasportare dalla soavità delle musiche, echi tradizionali che sostengono e incorniciano la potenza delle superbe immagini. L’autore sembra aver trovato una dimensione ideale che gli funga da mezzo espressivo personalissimo di un’enorme utilità tanto per la forma quanto per i contenuti. Temi cari a Yimou quali la posizione del singolo rispetto al potere, sotto qualunque aspetto si manifesti, trovano nelle ambientazioni storiche uno spazio pressoché illimitato. Viene affrontato l’argomento della ragion di stato contrapposto all’individualità in maniera assai puntuale e verosimile, meno vertente su ideali assoluti rispetto a precedenti opus. Le tematiche vengono affrontate in un’ottica dove l’eroismo, calibrato sul lirismo narrativo e sul risvolto romantico, sorge da attrazioni personali talmente forti da prevaricare su ogni regola o divieto marziale. In confronto ad Hero, è tutto molto meno "iperuranico" e più volutamente sfaccettato: i combattimenti appaiono quasi "umani" (pur eccedendo talvolta nell’immaginifico fine a sé stesso), le azioni dei protagonisti sono valorose ma a misura d’uomo e perfino l’impianto visivo è più reattivo, cangiante, meno monocromatico e definito. Sotto questa veste, la pellicola focalizza differenti facce delle stesse tematiche e finisce con l’essere, per molti versi, complementare al capitolo cinematografico precedente del regista. Se Hero trovava i suoi limiti in un ritmo a tratti macchinosamente ingolfato, La foresta dei pugnali volanti è scandito da tempi impeccabili che lo fanno vorticare verso il sublime. Di tutto rispetto il cast: A. Lau non delude affatto e Z. Ziyi cresce film dopo film (da sottolineare il considerevole salto di qualità da La tigre e il dragone). Da sempre, in amore e in guerra, non esistono regole, se non quella di perseguire la propria causa con ogni mezzo: questo il significato conclusivo che giunge con maggior efficacia, tra i numerosi spunti di elementare attualizzazione che l’opera mette in campo. Quello che potrebbe destare qualche perplessità è il brusco cambio di registro che si verifica negli ultimi trenta minuti. Abbandonati plot e assunto di partenza, la storia pare convertirsi in un cupo melodramma, un ménage à trois in piena regola tipo Jules e Jim, innaffiato dal sangue dei tre personaggi principali e l’infrastruttura, robusta per altro, che regista e sceneggiatore avevano eretto come trave portante del film, subisce alcuni colpi preoccupanti. Tuttavia, alla fine dei conti, pure questa scena ha una sua logica, dacché il prode Jin afferma: «Non siamo che pedine su una scacchiera». E così, mentre la battaglia definitiva fra l’esercito governativo e il clan dei Pugnali Volanti viene lasciato all’immaginazione del pubblico, quest’ultimo è avvinto da sbalorditivi e reiterati colpi di scena, che richiamano a viva voce il romanzo d’appendice, mentre, grazie all’abilità dei tre attori principali, lo scontro finale li garantisce ampiamente. Yimou segna un altro passo avanti nella sua personale interpretazione del tema Wuxia, fermi restando alcuni cliché del genere, ma snellendo parecchio il contorno, il quale risulta più fresco, immediato e comprensibile per chi, cinematograficamente, non ha mai messo piede in Oriente. Notevole, d’altronde, il suo lavoro di cesello sui personaggi, pochi per non confondere chi guarda, ma talmente coinvolgenti da farli entrare subito in empatia con gli spettatori. Respingendo incredulità barocche e stilismi ricercati, il film rappresenta un distillato estremamente prezioso di emozioni, da non perdere per nulla al mondo.

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