I ponti di Madison County

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Un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Meryl Streep, Annie Corley, Victor Slezak, Jim Haynie.
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Titolo originale The Bridges of Madison County. Sentimentale, Ratings: Kids+13, durata 135 min. - USA 1995. - Warner Bros Italia uscita venerdì 22 settembre 1995. MYMONETRO I ponti di Madison County * * * 1/2 - valutazione media: 3,63 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Epico romanticismo con la passione come fulcro. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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sabato 22 settembre 2018

I PONTI DI MADISON COUNTY (USA, 1995) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da MERYL STREEP, CLINT EASTWOOD, ANNIE CORLEY, VICTOR SLEZAK, JIM HAYNIE
Francesca Johnson è una casalinga di origini italiane che vive col marito Richard, agricoltore, e i figli adolescenti Michael e Caroline nell’Iowa. Siamo nel 1965 e il coniuge deve far partecipare ad un concorso il manzo di famiglia, cosicché la donna dovrà trascorrere quattro giorni di solitudine. Poco tempo dopo la partenza dei tre parenti, Francesca riceve la visita inattesa di un fotografo del National Geographic di nome Robert Kincaid, il quale le chiede un’indicazione per raggiungere il ponte Rosmen, per cui deve fare un servizio. Accompagnandolo e poi invitandolo dentro casa per un tè freddo e dopo ancora addirittura per cena, fra i due si instaura una solida simpatia, che li porta ad aprirsi a vicenda raccontando l’uno all’altra aneddoti delle proprie rispettive vite: lui è un cittadino del mondo che viaggia da un continente all’altro conoscendo persone senza mai piantare radici da nessuna parte, lei si definisce (pur non essendolo davvero) una donna semplice, attaccata a valori tradizionali come la famiglia e refrattaria ai cambiamenti. Terminata una passeggiata serale in cui Robert le annuncia che l’indomani dovrà tornare ai ponti coperti di Madison County per riprendere a fotografare in attesa di una luce migliore, Francesca capisce che prova un’attrazione speciale per lui. Appone un biglietto sul tetto del ponte che Robert, il giorno dopo, trova, e così, fra una seconda cena e un ballo in casa di Francesca durante il quale lei sfoggia uno stupendo vestito appena acquistato, i due si innamorano. Siamo a mercoledì, Richard è via già da due giorni e dopodomani ritornerà, e Robert, pur sapendo che sta agendo con onestà e rispetto, propone a Francesca di seguirlo nei suoi vagabondaggi, soprattutto in seguito al risultato di una discussione che ha messo a fuoco, la mattina di giovedì, la differenza tra i loro modi di intendere la vita, ma la casalinga barese si dimostra incerta. Quando Richard e i ragazzi ricompaiono con in mano il primo premio del concorso, il marito, in un pomeriggio piovoso, la porta a fare compere, e per puro caso Francesca rivede, dal finestrino della macchina, Robert, che le scambia uno sguardo accorato. Quando il furgone di lui è a un semaforo rosso e la vettura guidata da Richard gli è dietro, Francesca tiene una mano appoggiata alla maniglia e osserva che il fotografo ha appeso allo specchietto interno del veicolo la catenina che lei stessa gli aveva regalato due giorni prima, un dono della sua zia italiana. Robert svolta a sinistra e la macchina dei due coniugi ritorna a casa. Nel 1979 Richard, ormai vecchio e malato, muore, e nel 1982 Francesca riceve per posta una cassa contenente gli attrezzi da lavoro di Robert, nel frattempo anch’egli defunto, e un libro intitolato Four Days, in cui appaiono gli scatti realizzati durante la permanenza in Iowa. Ed è soltanto alla morte della madre che Michael e Caroline, entrambi con famiglia e figli ed entrambi sul punto di divorziare, vengono a sapere del suo tradimento leggendone le disposizioni testamentarie. Inizialmente increduli e anche un po’ sconcertati da un comportamento che dalla loro madre, così devota al consorte, non si sarebbero mai aspettati, poi comprendono appieno le ragioni che l’hanno spinta a rinunciare ad un amore tanto breve quanto intenso e, come previsto dalle ultime volontà di Francesca, le sue ceneri vengono sparse dalla cima del ponte Rosmen. È con ogni probabilità l’unico film d’amore nella carriera registica di Eastwood, ma senza dubbio il migliore e una delle sue prove più eccelse in assoluto: l’intesa con M. Streep permette ad ambedue di interpretare una coppia di personaggi meravigliosi la cui relazione va al di là di un’infatuazione passionale, perché trascende i limiti del poco tempo che trascorrono assieme e mette a confronto due stili di vita apparentemente inconciliabili, ma non così lontani per quel che concerne l’assunzione delle responsabilità in un rapporto fra uomo e donna. Tratto dall’omonimo romanzo di Robert James Waller su sceneggiatura di Richard LaGravanese, l’opera trova il suo punto di forza nel disegno psicologico dei caratteri: Kincaid e Johnson sono due persone di mezza età, oramai adattate a vivere in un determinato modo e in superficie (ma solo in superficie, come poi si capisce vedendo lo scorrere delle sequenze) desiderose di mantenerlo, ma per nessuno dei due l’apertura ad un’avventura inaspettata è preclusa, in quanto le sorprese, per rare che siano, avvengono quando meno le si cercano, e questa casalinga e questo giramondo sanno cogliere l’attimo oraziano superando le barriere mentali che si sono imposti per stabilire regole esistenziali e abbracciando in un panismo superbo la passione che sgorga dal profondo dei loro cuori, indecisi se durare o bruciare, o meglio, se continuare come se nulla fosse accaduto o stravolgere ogni cosa da cima a fondo e ripartire con uno slancio diverso da prima. Ottime anche le performances di Slezak e Corley, il figlio maggiore e quella minore, lui indignato per aver scoperto di un rapporto amoroso clandestino della genitrice e lei più comprensiva per il di lei atteggiamento, forse per un istinto di complicità femminile (del resto, la stessa Streep, quando lei e Eastwood s’apprestano a consumare l’ultima cena insieme, afferma che quando una donna mette su famiglia, comincia a vivere, ma al tempo medesimo si ferma). Ricchissimo di dettagli fondamentali e particolari significativi che ad una prima visione indubbiamente sfuggono, e che spingono dunque a rigustare una seconda volta un dramma sentimentale così struggente da far commuovere per come affronta con inaudita lucidità il tema della fedeltà messa a dura prova. Fu la prima volta, per il regista californiano, in cui si addentrò in un genere a lui sconosciuto dal punto di vista tecnico, che però seppe affrontare di petto e controcorrente, lasciando un segno nella storia del cinema e narrando una vicenda indimenticabile.

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