Cosa dirà la gente

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Difficoltà multiculturali Valutazione 3 stelle su cinque

di vanessa zarastro


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giovedì 3 maggio 2018

What Will People Say” – titolo originale - mostra l’educazione repressiva all’interno di una famiglia pakistana emigrata in Norvegia ai tempi d’oggi. Nisha (una bravissima ed emergente Maria Mozhdah) è una sedicenne che vive a Oslo che, come i suoi coetanei, studia, ascolta musica, manda messaggini con lo smartphone e si diverte a giocare a pallacanestro sulla neve. Un’età la sua dove non si è ancora adulti ma non si è neanche più bambini e si hanno, quindi, ingenuità e stupidità adolescenziali commiste a desideri, scatenati dagli ormoni, non ancora maturi. Come la generazione occidentale di mezzo secolo fa, Nisha dice bugie e tende a fare piccole cose di nascosto perché l’educazione genitoriale è molto severa. Con il padre Mirza (il bravo e intenso Hadil Hussain) sembra esserci un rapporto speciale, il giorno del compleanno invece di ricevere il regalo, donerà lui alla figlia dei soldi…da mettere da parte con gli altri per quando studierà medicina.
Una notte Nisha fa venire a casa, di nascosto, un suo amichetto che la corteggia, ma il padre se ne accorgerà e avrà una reazione violenta picchiando a sangue il ragazzo. Grazie all’intervento di un vicino, arriveranno i servizi sociali a salvare i giovani che non avevano ancora fatto nulla, e a mediare tra padre e figlia. Il padre vorrebbe imporre un matrimonio “riparatorio” ma Nisha nel frattempo ha già lasciato il ragazzino con i capelli rossi.
La punizione sarà durissima e la ragazzina sarà portata contro la sua volontà in Pakistan a vivere con la famiglia del padre: la vecchia madre, la sorella con il marito, figlia e figlio. Dopo vari tentativi di fuga e dopo svariati mesi, la ragazza si rassegna e si rilassa e accetterà la corte del cugino, ma ulteriori vicende sfortunate costringeranno suo padre a venirsela a riprendere. Tutta la famiglia pakistana sembra essere stata svergognata da un comportamento leggero di questa sciagurata figlia femmina, e la madre non esita dirle: «era meglio fossi nata morta!». L’unica che le dimostra un po’ di affetto è la sorellina piccola ancora non contagiata da perbenismi né da rigidità educative, e l’abbraccia affettuosamente. Per il resto è veramente impressionante vedere la scarsa fisicità tra tutti i membri della famiglia e la durezza delle madri.
Ma la figura più bella è proprio quella del padre che sembra costretto a seguire le regole e deve mettere a tacere i suoi sentimenti nei confronti della figlia prediletta. La vede scivolare lontano da sé verso una libertà, che lui non può accettare né concepire, e che considera invece come condotta scandalosa: la donna nella sua cultura non sceglie e deve essere sottomessa ai padri e alle regole. Si vede Mirza ascoltare un paio di altri uomini della comunità pakistana dove vivono, che lo istigano a dare alla figlia una punizione esemplare. Lo si vede pure quando lungo la pista nel rientrare dal paesino afgano, quasi supplica in lacrime la figlia di buttarsi di sotto, incapace di farle del male né di sfiorarla. Basti pensare, invece, alla recente terribile tragedia vissuta da Sana Cheema a Brescia, uccisa dal padre e fratello perché voleva sposare il suo fidanzato italiano.
La regista Iram Haq, oggi poco più che quarantenne, alla sua seconda opera, ha veramente subìto un rimpatrio forzato per opera del fratello e del padre. Così dice ha raccontato la regista in un’intervista: «Non sapevo come raccontare questa storia e ho voluto attendere di avere il coraggio per poterlo fare. Questo film è molto ispirato alla mia esperienza ma non interamente. Purtroppo questa vicenda, ancora reale al giorno d’oggi per numerose ragazze in Norvegia e altrove nel mondo, è una storia che parla di controllo sociale, dell’essere intrappolati in ciò che gli altri pensano e sentono e le conseguenze su di te. Al tempo stesso è la storia d’amore tra un padre e una figlia in conflitto perché appartengono a due mondi differenti».
In fondo Iram Haq presenta le figure maschile come persone deboli (i battibecchi tra la nonna e lo zio) o come dei frustrati (i ragazzi che non sanno proprio come reagire). Nelle maglie della tradizione, mostrando il conservatorismo, la regista ci pone un problema più vasto, quello del multiculturalismo, della difficile convivenza di tradizioni e religioni diverse e della faticosa crescita degli immigrati di seconda (terza e quarta generazione). Di fatto in Norvegia l’immigrazione pakistana è stata negli anni Sessanta del secolo scorso ed esiste a tutt’oggi. Permangono quindi le problematiche legate a inevitabili frizioni tra socialdemocrazia laica e liberale scandinava e quella tradizionalista e poco permissiva di chi viene dal Pakistan.
Cosa dirà la gente” presentato al Bif&st 2018 è un film durissimo che non lascia spazio alla speranza del desiderio di libertà. C’è solo la fuga. 

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