Le fate ignoranti

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Un film di Ferzan Ozpetek. Con Margherita Buy, Stefano Accorsi, Andrea Renzi, Gabriel Garko, Filippo Nigro.
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Drammatico, durata 105 min. - Italia, Francia 2001. MYMONETRO Le fate ignoranti * * * - - valutazione media: 3,33 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La coppia Buy-Accorsi è d'una stupenda naturalezza Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


Feedback: 70013 | altri commenti e recensioni di GreatSteven
lunedì 30 ottobre 2017

LE FATE IGNORANTI (IT, 2001) diretto da FERZAN OZPETEK. Interpretato da MARGHERITA BUY, STEFANO ACCORSI, GABRIEL GARKO, ERIKA BLANC, ANDREA RENZI, SERRA YILMAZ, FILIPPO NIGRO

Antonia e Massimo sono sposati da quindici anni e si possono definire con assolutezza una coppia felice della borghesia romana. Ma un giorno accade l’irreparabile: Massimo rimane vittima di un incidente stradale mentre sta per rispondere al cellulare squillante e muore. Sconvolta e sconfortata, Antonia si rinchiude nel suo dolore e non riesce a riprendersi, e l’aver in casa una madre invadente e oppressiva e Nora, una cameriera filippina che tappezza la villa sua e del defunto marito di santini e immagini religiose in ricordo del padrone morto, non le sono certo di aiuto. Finché Antonia, che di professione fa il medico, non scopre, in un cassetto della casa, un incartamento contenente un quadro denominato La fata ignorante, dietro al quale v’è una dedica che fa capire alla donna che il consorte aveva un amante. Scartabellando fra i suoi documenti, Antonia scopre l’indirizzo a cui abita l’amante del marito scomparso, e viene a sapere che di cognome la persona da lei cercata si chiama Mariani, e per lei è logico pensare che si tratti di una signora, o signorina, Mariani. Ma Mariani è in realtà un uomo, Michele, che dorme di giorno per lavorare di notte ai mercati generali nella sezione ortofrutticola. La prima reazione della dottoressa, nuovamente disillusa e incattivita, è di rabbia, ma in seguito per lei si apre un mondo dapprima sconosciuto: entra a far parte della comunità multirazziale e polisessuale di cui era membro il suo stesso marito e di cui naturalmente è membro pure Michele, formata non soltanto da gay. Antonia, agiata borghese e laureata in medicina, conosce persone che non avrebbe mai lontanamente immaginato di poter incontrare e cresce a livello interiore e sentimentale, instaurando con Michele in particolare un difficoltoso e travagliato rapporto che non si tramuterà mai in amore, ma gioverà ad entrambi per conquistarsi a vicenda e a fatica una stima reciproca. Infine, dietro invito di un componente israeliano della comunità, Emir, Antonia annuncia ai nuovi amici che parte per Amsterdam con lui, ma in realtà serba con Emir il segreto che, in Olanda, ci va sola. È un film profondo e malinconico, ma non triste e che soprattutto non induce a rese di nessuna sorta: espone i suoi migliori significati abbattendo i baluardi dei pregiudizi e specialmente senza esprimere giudizi né positivi né negativi sull’omosessualità e altre forme di diversità da una società che emargina i "diversi", costretti ad una vita ritirata ma orgogliosi del fato di essere speciali. È, sopra ogni cosa, un film di attori: l’accoppiata Buy-Accorsi, apparentemente così improbabile ed inefficace, dà alla pellicola l’acqua della vita, con la prima che trova un modo suadente ed efficiente nel superare il dolore ed elaborare il suo terrificante lutto e il secondo che vede minarsi dal di dentro le sue certezze in argomento sessuale. Quanto alla Buy, alla faccia di tutti i suoi detrattori che le rimproverano di interpretare da più di vent’anni lo stesso personaggio, la troviamo qui decisamente maturata dai tempi di Maledetto il giorno che t’ho incontrato (Carlo Verdone, 1991) e capace di sostenere la prova drammatica che sta con costanza sul filo del rasoio di una vedova che riscopre la gioia di vivere accogliendo dentro di sé un bagaglio di conoscenze fondamentali di cui capisce pian piano l’importanza benefica e sollevatrice. Accorsi, dal canto suo, reduce dal bel Radiofreccia (Luciano Ligabue, 1998), offre una perfomance eccellente inventandosi un personaggio anticonformista ma non sicuro al 100% della natura che si illude di conoscere fin dalle radici primordiali, imparando molte più cose su sé stesso dal raffronto con la donna con cui divideva il compagno per lui e il marito per lei. Ma anche al resto del cast non vanno risparmiate lodi debite e significative: G. Garko interpreta sotto le righe Ernesto, l’omosessuale costretto a letto con la flebo perché infetto dal virus HIV e convinto che il suo fidanzato Emanuele sia ancora vivo e lo abbia spudoratamente abbandonato, quando in realtà i suoi amici, per risparmiargli una sofferenza, gli tengono celata al sua morte, risalente all’anno prima; S. Yilmaz, l’amministratrice turca in sovrappeso del condominio in cui vive la comunità al completo, donna di mondo, pragmatica e dotata di un’intelligenza rozza ma al tempo stesso perspicace; F. Nigro, lasciato un po’ troppo in disparte, nelle vesti di Riccardo, l’impiegato d’ufficio anch’egli gay; ed E. Blanc nel ruolo di Veronica, il transgender che è diventato da uomo donna e che vuole, senza troppa convinzione, tornare al suo paesino natale per avvertire i suoi genitori, ancora ignari dell’operazione chirurgica che ha fatto cambiar sesso al figlio. Ozpetek dirige il traffico abbinando con calma sapienza i contributi tecnici a quelli artistici e sortendo come esito un’opera drammatica che non genera tensione e non fornisce risposte alle numerose domande che pone su temi di rilevanza implacabile, ma racconta una storia di perdizione, riavvicinamento e riscossa che costituisce probabilmente il primo esempio, nel cinema italiano, di una pellicola che affronta una materia narrativa così delicata e scottante con un cipiglio straordinariamente pacato, lucido, veritiero e scevro di qualsiasi manierismo. Il leitmotiv ricorrente, come si evince già verso la metà della proiezione, è il segreto nascosto e mai svelato, o meglio, svelato con eccessivo ritardo, ma c’è anche il paragone metaforico del bicchiere che, se cade di mano durante un brindisi o mentre si sta sorseggiando una bevanda, si rompe, vuol dire che un’amicizia o un amore si infrange. Quando casca di mano a Michele, rotola per terra senza rompersi, mentre lui pensa ad Antonia che sta per imbarcarsi all’aeroporto sul velivolo diretto ad Amsterdam. Chi ha orecchie per intendere, intenda: o sarebbe meglio asserire, in questo caso, chi ha occhi per vedere, veda, oppure, chi ha cuore per comprendere, comprenda? La nostalgia ivi presente è ben bilanciata da una manciata consistente di pathos travolgente e da un clima che tiene in modo continuativo l’intero cast sotto una coltre di parca freddezza per consentire ad ognuno di tirar fuori da sé il meglio in un coacervo di interpretazioni che completano un quadro davvero ammirevole, capace di veicolare una morale alla portata quantomeno degli spettatori più sensibili, ma comunque in grado anche di intenerire i cuori più coriacei e alieni alle emozioni perché fa subito capire la sua natura di panegirico, fortunatamente non indiscriminato né reiterato, della natura umana nelle sue sfumature meno comuni e più autentiche, vitali, eccelse e catalizzatrici. Centodieci minuti di umanità che viene profusa al pubblico a piene mani senza il bisogno di ricorrere a ricattarlo con sensazioni falsate, il che rende merito ad Ozpetek e gli permette una definitiva consacrazione con Le fate ignoranti, un punto d’arrivo cui nel corso degli anni, come abbiamo visto, il regista straniero lavorante in Italia ritornerà coi suoi opus successivi affidando poco a poco il suo talento fuori dall’ordinario, come fuori dall’ordinarietà sono anche i personaggi curiosi e adorabili che il film in questione narra lasciando a ciascuno uno spazio espressivo che ne esalta la personalità più genuina.

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