La famiglia omicidi

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Un film di Niall Johnson. Con Rowan Atkinson, Kristin Scott Thomas, Maggie Smith, Patrick Swayze, Emilia Fox.
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Titolo originale Keeping mum. Commedia, durata 103 min. - Gran Bretagna 2005. uscita giovedì 13 aprile 2006. MYMONETRO La famiglia omicidi * * 1/2 - - valutazione media: 2,66 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

pasqua con la mannaia Valutazione 3 stelle su cinque

di johnny1988


Feedback: 5224 | altri commenti e recensioni di johnny1988
martedì 20 settembre 2011


Diffidate dai falsi cinefili che, con una sventagliata di velleità intellettuali, sembrano compiacersi nello stanare sempre e solo i limiti di una pellicola, quella comica in particolare, come questa commedia, soggetto di giudizi tutti opposti fra loro. Buona parte della critica, quella del ceppo più ignorante, con scarsa originalità, indica La Famiglia Omicidi come una dissacrazione diseducativa del buon costume, del ben pensare e, se non basta, come una riformulazione volgare della black comedy. Chi s'intende di cinema, ma anche quello con meno strumenti critici, sa riconoscere senza troppi sforzi che la commedia, così come l'arte in generale, traduce la Storia nelle sue sfumature e nei suoi continui rinnovamenti. Dovrebbe bastare questo, allora, per capire che è sciocco forzare rigidi paragoni fra opere dai contorni cronologici e culturali distanti fra loro. Pertinente, e scontato, è cercare, invece, un filo conduttore.

Molti riconoscono nel titolo un'allusione palese alla Signora Omicidi degli anni '50, altri un omaggio ad Arsenico e Vecchi Merletti, entrambi riconosciuti come capolavori del cinema che fu. Poi, lo spettatore sveglio, immagino, non si aspetterà dalla Famiglia Omicidi (2005) una struttura o un linguaggio fondati sui parametri o sui contenuti del cinema degli anni '30, o di quello degli anni '50: suona sempre strano, se non ridicolo, infatti, leggere o ascoltare una recensione che, in sintesi, commenta con nostalgia “non è più il cinema di una volta”, sarebbe quasi come pretendere che termini di uso ormai quotidiano, seppur volgari, come “merda” o “stronzo”, non dovrebbero essere permessi nel linguaggio cinematografico quotidiano. Un conto è definire “volgari” queste parole quando sono fini a sé stesse, un altro, ingiustificato, è indicarle tali quando invece rivestono un ruolo nella trama. Questo tipo di volgarità è uno dei temi che la critica, a grandi linee, ha preso di mira intorno a questo film, con un insulso spostamento di tali osservazioni dal piano linguistico a quello narrativo d'insieme, come se ciò bastasse a giustificare il disprezzo per l'opera.

Siamo in Gran Bretagna, in un sereno paesino di campagna. Da vicino seguiamo le vicende inquiete della famiglia Goodfellow. Padre Walter è un reverendo goffo e troppo attento ai suoi impegni per curarsi della moglie Gloria che, per distrarsi, se la fa con il maestro di golf, uno stallone americano, mentre i figli vivono a modo loro l'adolescenza, lui, il più piccolo, vittima costante dei bulli della scuola, lei ninfomane. Ogni cosa migliora con l'arrivo in casa di tata Grace, dal passato segreto, che a colpi di mannaia e ferri da stiro fa fuori, letteralmente, chiunque mini alla tranquillità della famiglia.

A dispetto di chi pretende di trovare la volgarità in ogni scena, o trovare diseducativa l'originalità con cui viene trattato il tema dell'omicidio, il film invece si presenta come una rivisitazione sottile e di ampio respiro del grottesco, di dissacrante umorismo e dolcezza contagiosa. Una commedia che conquisterebbe il pubblico anche a teatro. Il cast è formidabile e in gran forma, Kristin Scott Thomas è bella e vera, diversa da come siamo abituati a vederla nei ruoli strappalacrime o di donna imperturbabile; Rowan Atkinson è una rivelazione di spontaneità, così come l'autoironico Swayze, stereotipo dell'americano satiro; e poi c'è lei, l'intramontabile Maggie Smith - dopo tanti anni di nuovo insieme a Liz Smith (un altro fenomeno della scena, anche se meno conosciuto) -, irresistibile come sempre nei panni della signora grintosa, di una eleganza tutta inglese. Il film, di per sé, non è sicuramente impegnativo o quanto mai profondo, e fin qui la critica ufficiale non ha tutti i torti, ma non è nemmeno cretino come i dizionari del cinema ce lo vorrebbero presentare, anzi, ha ragione chi lo trova molto british, è quasi impossibile non goderselo col sorriso sulle labbra.

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