Ormai la felicità per Balabanov non è più di questa terra, nemmeno come pura aspirazione, e va cercata ai confini del mondo civilizzato, nella zona preclusa agli uomini per la radioattività, avvolta in un perenne inverno nucleare.
Ultimo film visionario di un regista che è stato testimone dello sfacelo morale e materiale della Russia post sovietica, ispirato vagamente allo Stalker del ’79 di Tarkovskij, pieno di disperata angoscia e compassione per l’irredimibile umanità contemporanea e suggestivamente evocativo della propria imminente fine.
Il musicista, il criminale, il suo socio e suo padre, una prostituta, sono i cinque derelitti che credono di poter essere innalzati al cielo, “trasportati” non si sa dove e, non è detto in chiaro, se da forze aliene o per intervento miracoloso del divino in funzione salvifica.
Alla fine del viaggio, ai piedi del campanile della felicità, i personaggi incontrano un uomo che si presenta ad uno di loro come il regista, interpretato dallo stesso Balabanov, che rappresenta simbolicamente il loro creatore, non un Dio, ma un povero demiurgo impotente, in attesa, nella speranza, come tutti, di essere trascinato fuori dal mondo, in fuga dalla sua stessa creazione.
Il commento sonoro, impressionante ed ipnotico, contribuisce in modo determinante a rendere la straniante atmosfera surreale da fine dei giorni, che corre parallela al normale tran tran quotidiano delle vie cittadine trafficate di auto, per prendere, infine, il sopravvento.
Segue con spoiler….
Sopravviveranno alla generale dissoluzione morale, metaforicamente saranno assunti in cielo, soltanto il musicista, simbolo dell’Arte, e la prostituta, laureata in filosofia, che, spogliatasi di tutto, corre nuda nella neve affrontando il doloroso percorso catartico che la condurrà alla salvezza.
Il regista, lo stesso Balabanov, si accascia moribondo, non sentendosi all’altezza né del musicista, poiché insoddisfatto, come tutti i grandi artisti, della propria opera, né della prostituta redenta, perché comunque non esente dalla colpa di essere dentro il sistema, per potersi giudicare del tutto innocente.
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