Padrenostro

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Un film di Claudio Noce. Con Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Mattia Garaci, Francesco Gheghi, Anna Maria De Luca.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 120 min. - Italia 2020. - Vision Distribution uscita giovedì 24 settembre 2020. MYMONETRO Padrenostro * * 1/2 - - valutazione media: 2,79 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il terrorismo dagli occhi di un bambino Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


Feedback: 33654 | altri commenti e recensioni di Eugenio
domenica 10 gennaio 2021

Inizia come nessuno se lo aspetta il nuovo film di Claudio Noce Padrenostro. Con una metropolitana che si muove tra le profondità della terra, all’interno della quale una persona preoccupata, tesa e nervosa si guarda intorno. Poi, un improvviso black-out spinge tutti a guadagnare presto l’uscita senza perdere troppo la calma, quella di cui il nostro misterioso protagonista inquadrato ne ignora il significato. Il nostro personaggio scende, si muove incerto fino a che qualcuno lo tocca alle spalle…
Un battito di ciglia, due minuti e nulla più. Poi torniamo indietro di diverso tempo, a metà degli anni settanta in quell’arco temporale genericamente definito come “anni di piombo”, in cui il rapimento di Moro avrebbe rappresentato il climax inevitabile di un’evoluzione violenta e armata. Ed è proprio due anni prima del tragico evento, nel 1976, che inizia “realmente” il film.  Dalla radio di casa e alcune incursioni in terrazzo, Valerio, il giovane protagonista della pellicola (intepretato da un convincente Mattia Garaci), guarda il mondo muoversi inesorabilmente inghiottito in una spirale di violenza, permeato dall’agnizione della madre che enigmaticamente svicola ogni giustificazione alle misteriose assenze del papà Alfonso (Pierfrancesco Favino), vice questore a Roma. Fino all’inevitabile tragedia in cui Valerio assisterà direttamente, non visto, al ferimento del padre in un attentato armato  mosso dai nuclei armati proletari che si concluderà con la morte di uno dei “nappisti” Montanari e del poliziotto della scorta.
A tali eventi il “non più bambino” cercherà di appellarsi, sfruttando il potere più grande e bello che crescendo tende a scomparire ovvero la fervida immaginazione e soprattutto la curiosità che accompagnerà il giovane ad una maturità sofferta. Una maturità che riuscirà a palesarsi durante l’estate, in un periodo di sospensione dagli affanni, meta di scoperte ma anche di conoscenze in Calabria, a Riace, luogo di origine del padre. Qui, in un mondo incantato e quasi atavico, supportato da una maggiore “presenza fisica” del padre, Valerio vivrà le sue prime esperienze da “adulto”, convivendo con la paura e la vulnerabilità che si percepiscono sempre più minacciose a casa, confrontandosi, finalmente, con la figura di un “padre eroe” integro e “gigante buono” invincibile, erodendone labilmente i confini.
L’intento di Noce, in Padrenostro, non è la rievocazione didascalica di un periodo estremamente cupo della storia italiana come le lotte armate di fine anni settanta quanto l’analisi a misura di bambino di un’esplosione pedagogica di vita vissuta come trauma.  Il film è ambizioso: Noce traduce un evento drammatico appunto come il ferimento e la morte violenta, in una struggente ricerca di una corrispondenza d’amorosi sensi tra un padre ritrovato e un figlio lentamente cosciente.
Valerio, imperterrito spirito solitario, troverà proprio nel padre l’innocenza perduta e in Christian, enigmatico ragazzino di quattordici anni poco più grande di lui, apparso dal nulla, l’amicizia. Segni, appunto che permetteranno ai giovani “uomini” di rielaborare in qualche modo il dolore, lasciando esplodere la creatività in disegni e sinistre fisionomie umane tracciate col gessetto sull’asfalto di Roma e tuffi nell’acqua limpida e cristallina per uscirne nuovi scoprendo sulla loro pelle la violenza degli adulti, ma anche la forza dell’amicizia.
 
Padrenostronelle sue due ore, non annoia mai. La fotografia nitida, la scenografia di un territorio quasi mitico tra montagna e mare, boschi vergini (la Sila del Lago Arvo) e scogliere a picco, rendono la pellicola struggente, capace di spaziare e rendere persino poetico il dramma, oltrepassando la gretta meschinità del realismi visti da un buco della serratura o tra grate come prigionieri di una casa stantia. 
E Noce lo fa aprendo il suo film, tra campi di grano simil Io non ho paura  di Ammaniti, cauterizzando le profonde ferite dell’anima in un redde rationem con un abbraccio profondamente consolatorio e felice con qualche lacrima di gioia che fa sempre bene. Vincitore della coppia Volpi per la migliore interpretazione maschile a Pierfrancesco Favino al Festival del Cinema di Venezia 2020.
 

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