The Midnight Sky

   
   
   

Un uomo, il suo destino e una nuova speranza Valutazione 3 stelle su cinque

di Eugenio


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domenica 27 dicembre 2020

Anno 2049, l'umanità non è più come ce la immaginiamo e purtroppo non è una cosa positiva. Appare completamente ridotta ai minimi termini decimata da un misterioso quanto chissà si spera non profetico cataclisma. L'aria è diventata irrespirabile e i superstiti vivono relegati in rifugi sotterranei, tranne uno: il barbuto e smarrito Augustine, scienziato astronomo, di grande fama e ora solo e malato terminale, si erge come ultimo baluardo decadente in un avamposto artico, dove in attesa della fine, cerca di avvisare un’astronave in rotta di ritorno verso la Terra ma ignara degli eventi che l’hanno resa inabitabile, di non tornare indietro. 
A bordo tra i membri dell'equipaggio, una giovane coppia di astronauti innamorata con lei che aspetta un bambino e una buona notizia che potrà salvare l'umanità ovvero la scoperta di K-23, un pianeta perfetto per la razza umana, da colonizzare e già in parte esplorato, utile per un nuovo inizio.
Ma non sarà facile per Augustine riuscire a comunicare con gli astronauti, considerando che tempeste atmosferiche e strane presenze, come quella di una misteriosa bambina dal nome di un fiore, Iris, metteranno a dura prova i nervi e la già precaria salute del nostro protagonista interpretato da un "consumato" George Clooney anche in veste di regista.
 
E qui il primo ma. Perché  The Midnight Sky, tra distopia e fantascienza, tra survival movie e commedia esistenziale drammatica, non riesce mai a trovare una sua precisa collocazione attingendo a tantissimi altri titoli venuti prima di lui (ma soprattutto al romanzo La distanza tra le stelle) vedi, Snowpiercer Interstellar, Gravity The Last of Us senza tuttavia riuscire a trovare un guizzo di personale originalità nel filone del cinema d'autore di genere superficialmente abbozzato come il tema dell’esplorazione e la fiducia nella scienza quale ultima speranza umana. 
Coniugando due vicende apparentemente slegate, la lotta esistenziale con la ricerca spaziale, l'infinitamente piccolo a confronto con la grande profondità dell’ignoto che trovano nel nostro Augustine il cuore fondante di un’unione precaria, The Midnight Sky -e questo è il secondo ma- appare troppo retorico e abbastanza e discutibilmente prevedibile nell'intreccio, malgrado un fotografia pulita (le location nei paesi baltici hanno aiutato molto) e una certa predisposizione al colpo di scena ad ogni costo.
 
Parla troppo il film- il terzo ma- nelle sue ridondanti e a tratti pretestuose scene ed è questo un peccato. Comunica un'idea di fondo estremamente potente e sagace come il rapporto tutto leopardiano tra uomo e natura, il delicato leitmotiv del cambiamento climatico e le insane conseguenze provocate dall'uomo nella rovina del suo stesso habitat naturale non perseguendo in questo filone ma continuando a basculare con flashback spesso inutili e un presente fatto di un dolore vivo e persistente.
Troppo netta appare la divisione, la dicotomia Terra- spazio, profonda cesura che non riesce mai ad amalgamarsi rendendo le storie figlie di un intreccio comune. Il tema della speranza, la nascita di una coppia di novelli Adamo ed Eva colonizzatori di un pianeta simile al nostro completamente da “rifondare” è poetico e struggente, permeato dalla fiducia di fondo nella scienza ma in The Midnight Sky lo sviluppo è confuso. Prevale un profondo senso di fallimento e soprattutto di disillusione che nega il principio stesso del film nei confronti di quel futuro in cui lo spazio e il lavoro scientifico rappresentano l'unica forma, sembra dirci Clooney di conoscenza che consente all’umanità una salvezza post-Armageddon.
 
E questo è ciò che resta di una pellicola che parte come un diesel ma purtroppo quando, dopo molto tempo, ingrana a fatica, ha la benzina oramai perennemente in riserva. Per sua fortuna, la stazione di servizio dell'autostrada del cinema, gli va in soccorso con un pieno di paesaggi innevati, tramonti di cieli artici e spazi celesti che ci restituiscono a noi spettatori una gioia sincera ma effimera. Fino al prossimo self service.

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