Fiori d'equinozio

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Un film di Yasujirô Ozu. Con Kinuyo Tanaka, Ineko Arima, Yoshiko Kuga, Teiji Takahashi, Chishû Ryû.
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Titolo originale Higanbana. Commedia drammatica, Ratings: Kids+13, durata 113 min. - Giappone 1958. - Tucker Film uscita lunedì 29 giugno 2015. MYMONETRO Fiori d'equinozio * * * * - valutazione media: 4,10 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

i sogni non muoiono mai Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51003 | altri commenti e recensioni di carloalberto
sabato 16 maggio 2020

La dignitosa sopportazione del dolore per la scomparsa dei valori tradizionali e per la perdita della giovinezza trapassa idealmente dal drammatico Viaggio a Tokio in Fiori d’equinozio e, non è un caso, se i protagonisti dei due film hanno lo stesso cognome: Hirayama. Primo film a colori di Ozu, ha soltanto l’aspetto di una commedia ed è, invece, un canto funebre, che continua l’elaborazione del lutto collettivo per la morte della nazione, ed, al contempo, come nel perfetto equilibrio tra giorno e notte dell'equinozio, un inno alla spiritualità della vita che attraversa immutata il passaggio da un’età all’altra dell’uomo ed il succedersi delle epoche nella vita dei popoli.
Ozu colloca le cineprese a terra, statiche, pronte a catturare le immagini della vita che vi passa davanti, come fossero fototrappole di un naturalista, oppure le mette “sedute” sul tatami, a mimare la presenza di un testimone muto, che assiste disincantato alle vicende umane. Questo punto di vista immobile ed impassibile fa risaltare il movimento interiore dei personaggi, parla e prende posizione attraverso la simbologia delle immagini. Il protagonista è diviso tra la volontà di difendere gli antichi costumi, per preservare l’identità nazionale almeno nell’ambito familiare, e la necessità di adeguarsi allo stile di vita imperante, adottato per conformismo dai suoi coetanei  e spontaneamente dalla nuova generazione, dalle due figlie, in particolare, per emanciparsi dal rito del matrimonio combinato. Ozu dissemina nel film tanti piccoli segni di questa lotta interiore, velandoli dietro le apparenze delle cose di tutti i giorni, delle chiacchiere della vita quotidiana. Quando l’amica della figlia prende in giro la madre, che freme per trovarle marito, per la sua devozione al dio shintoista della fertilità, lui sorride, condividendo l’irrisione per la religione degli avi. A quella stessa ragazza consiglierà, prima, di sposarsi presto e, in un’altra occasione, di rimanere celibe per godersi la sua giovinezza. Con i vecchi compagni di scuola beve il sakè, mentre al bar, con il suo giovane dipendente, ordina un whisky. In un primo momento non vuol partecipare al matrimonio della figlia, a cui ha negato il consenso, e poi vi andrà, poiché ci saranno tutti i suoi amici. Le nuove tecniche diagnostiche, d’importazione, in uso negli ospedali, le ripetute inquadrature di un’imponente edificio su cui svetta la croce cristiana, significano che non c’è spazio della vita pubblica o privata che non sia ormai già stato occupato dalla cultura dei vincitori. Il film si chiude con il suo viaggio a Hiroshima, simbolo della capitolazione del Giappone, dove va per incontrare la figlia. E’ la resa ai nuovi modelli culturali. Ma non è una resa incondizionata. Nel treno, unico viaggiatore, Hirayama intona il canto solenne del guerriero che dichiara la propria fedeltà all’imperatore. E’ lo stesso inno che, nella rimpatriata con i compagni di scuola, aveva intonato un suo amico, lo stesso attore che impersonava l’Hirayama di Viaggio a Tokio, ed al quale aveva detto “Noi siamo ormai vecchi ma i sogni della nostra gioventù ci accompagneranno per sempre”. I sogni che non muoiono mai sono i fiori che nell’equinozio di primavera tornano a sbocciare. Film incomprensibile per noi occidentali che viviamo, estranei in patria e senza il culto del passato, in un eterno presente senza memoria, alienati nella modernità.
 

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