Fabrizio De André - Principe libero

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Un film di Luca Facchini. Con Luca Marinelli, Ennio Fantastichini, Valentina Bellè, Elena Radonicich.
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Titolo originale Fabrizio De André: Principe libero. Biografico, Ratings: Kids+13, durata 193 min. - Italia 2018. - Nexo Digital uscita martedì 23 gennaio 2018. MYMONETRO Fabrizio De André - Principe libero * * * - - valutazione media: 3,15 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un solco lungo il viso come una specie di sorriso! Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 21 marzo 2019

FABRIZIO DE ANDRé – PRINCIPE LIBERO (IT, 2018) diretto da LUCA FACCHINI. Interpretato da LUCA MARINELLI, VALENTINA BELLè, ELENA RADONICICH, DAVIDE IACOPINI, GIANLUCA GOBBI, ENNIO FANTASTICHINI, TOMMASO RAGNO, MATTEO MARTARI, ORIETTA NOTARI
Destinato alla prima serata di Rai 1 dopo il passaggio in sala, questo bio-pic rappresenta forse la rivoluzione tanto aspettata nel campo della fiction tv generalista. Film precedenti diversamente interessanti del calibro di Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu o Walter Chiari – Fino all’ultima risata paiono aver risentito di quella semplificazione narrativa ed estetica che da alcuni a questa parte, diciamo dalle ultime stagioni di Don Matteo in avanti, caratterizza i prodotti della rete ammiraglia fin quasi a costituirne il marchio di fabbrica. Fabrizio De André – Principe libero è invece un’opera di un altro livello, probabilmente per merito di una produzione che arriva da lontano (la Bibi Film altri non è che Angelo Barbagallo, socio storico di Nanni Moretti), del coraggio di un puntare sull’ignoto Facchini, regista sconosciuto ai più che però dimostra una notevole abilità nella direzione del cast, e dell’ottimo copione scritto da due sceneggiatori/romanzieri come Giordano Meacci e Francesca Serafini che sanno elaborare, traendo spunto dai fatti reali, una vicenda oltremodo accattivante. Fabrizio De André (1940-1999), figlio di Giuseppe, direttore di giornali genovese benestante e impositivo e fratello minore di Mauro, futuro avvocato, cresce nella Genova bene degli anni ’50, sfuggendo spesso all’egida paterna pur di frequentare le prostitute nei sobborghi e non suonare il violino che suo padre pretende che impari. Le amicizie coltivate fin da giovanissimo col cantautore Luigi Tenco e l’attore teatrale Paolo Villaggio gli rimangono nel cuore e proseguono (quella con Villaggio; Tenco, come anche la storia rispecchia, muore suicida nel 1967 al Festival di Sanremo) sulla scia della reciproca stima, anche artistica. Nel 1962 conosce Enrica Rignon, soprannominata Puny, e la sposa: dal matrimonio nasce il primogenito Cristiano. Fabrizio comincia già a incidere con scarso successo di pubblico le prime canzoni, nonostante la sua intenzione fosse quella di limitarsi a cantarle per le combriccole di amici, ma i discografici credono nel suo talento e, quando Mina interpreta in televisione La canzone di Marinella, le porte per la musica nazionale gli si aprono definitivamente. In breve il nostro diventa un cantautore affermato molto apprezzato dalla critica per il significato dei brani e la grande cura riservata alla componente musicale. La sua timidezza gli impedisce, fino al 1975, di dare concerti, ma poi arriva la svolta alla Bussola di Viareggio, dove dà la sua primissima esibizione dal vivo. Nel frattempo giunge nella sua esistenza la cantante Dori Ghezzi, di cui Fabrizio s’innamora ricambiato e per lei divorzia dalla Puny. Nel 1979, comprata una tenuta a Tempio Pausania in Sardegna, dove marito e moglie si occupano di viti e cavalli, i due coniugi vengono rapiti dall’anonima sequestri e tenuti prigionieri per quattro mesi, finché il padre Giuseppe non si decide a sborsare la cifra necessaria per la loro liberazione. Nel 1985, in punto di morte, costui chiede al figlio il sacrificio enorme di non ubriacarsi mai più coi superalcolici. Gli ultimi anni, purtroppo, vengono raccontati in modo imperdonabilmente frettoloso, senza nemmeno analizzare più a fondo il decisivo cambiamento stilistico avvenuto nel repertorio deandreiano a partire da Crêuza de mä, interamente cantato in lingua genovese. E la pellicola si conclude con un enigmatico finale in cui tutti i personaggi principali, De André compreso, siedono nelle poltrone di un teatro e poi lo schermo è occupato dall’immagine del Fabrizio De André vero che canta Bocca di Rosa alla chitarra. Ecco uno dei difetti della sua sceneggiatura. Gli altri sono rintracciabili nell’eccessiva importanza attribuita alla "cronaca rosa", che rivaluta troppo la rottura amorosa con la Puny e il successivo fidanzamento con Dori Ghezzi. Inoltre, un finale che avesse raffigurato la morte improvvisa di Faber dovuta ad un carcinoma al fegato, verificatasi l’11 gennaio 1999, avrebbe aggiunto un carico importante e sbalorditivo di pathos capace di dettare una chiusura davvero ragguardevole, benché pure l’andamento narrativo lasci a tratti a desiderare, in quanto la prima parte è di sicuro superiore alla seconda, per la maggior attenzione riservata alle difficoltà degli esordi, alla voce di Marinelli che canta con una verosimiglianza attendibile le immortali canzoni del genio italiano mai dimenticato e alla cura ambientale che ospita i vari episodi del suo iter con luoghi molto più che credibili. Nell’insieme, in sostanza, è dura non farsi coinvolgere dal percorso artistico e umano di un talento vivente che mai più nascerà in seno alla canzone d’autore nostrana. Sequenze intense e girate a meraviglia come Il pescatore, eseguita in concerto dal protagonista insieme alla Premiata Forneria Marconi, non credo possano lasciare indifferenti anche coloro che, per principio, non ascoltano Faber perché preferiscono altri generi. Stupiscono per giunta, in qualità di colonna sonora, Preghiera in gennaio inserita per sottolineare il dolore del protagonista quando viene a conoscenza della morte di Tenco e La domenica delle salme che parte non appena, vicino all’Hotel Supramonte, i rapitori malavitosi entrano in azione. L’idea dei quattro mesi di prigionia non funziona male come perno narrativo centrale, eppure occupa uno spazio tale da limitare aspetti contemporanei della vita di Fabrizio che avrebbero meritato d’esser ampliati e mostrati a mo’ di specificazione della sua maturazione nei confronti di persone e cose. Nel cast, ognuno dà il suo meglio, non soltanto Marinelli: brillano Bellè nelle vesti di Ghezzi e Fantastichini nel ruolo di Giuseppe De André, genitore severo ma in fondo soddisfatto della strada che il figlio intraprende, che si rivela nient’affatto avara di gratificazioni come egli temeva. Ma una rivelazione assai sorprendente è G. Gobbi nei panni di Paolo Villaggio (1932-2017), cui il film televisivo è dedicato: struggente! Ha ottenuto numerose candidature ai David di Donatello 2019.

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