“La monaca di Monza”, opera seconda della scarna filmografia di Eriprando Visconti (nipote del grande Luchino), è il film capofila del cd. genere “conventuale” che tra gli anni 70 e i primi anni 80 vide l'uscita di una ventina di pellicole, per la gran parte di basso livello e focalizzate su un erotismo becero e morboso, fino al porno soft. Non è il caso del film di Visconti che può contare su un cast dignitoso, e su collaboratori di qualità come Kuveiller per la fotografia, Mogherini per la sceneggiatura, Montanari per il montaggio e il duo Moricone-Nicolai per la musica.
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“La monaca di Monza”, opera seconda della scarna filmografia di Eriprando Visconti (nipote del grande Luchino), è il film capofila del cd. genere “conventuale” che tra gli anni 70 e i primi anni 80 vide l'uscita di una ventina di pellicole, per la gran parte di basso livello e focalizzate su un erotismo becero e morboso, fino al porno soft. Non è il caso del film di Visconti che può contare su un cast dignitoso, e su collaboratori di qualità come Kuveiller per la fotografia, Mogherini per la sceneggiatura, Montanari per il montaggio e il duo Moricone-Nicolai per la musica. La vicenda seicentesca è quella che Manzoni ha reso famosa nei “Promessi sposi”: la tragica storia di Virginia de Leyva, ricca nobile spagnola costretta a prendere i voti diventando priora del convento di Monza. Lì avrà modo di conoscere l'aitante Giampaolo Osio, signorotto locale, donnaiolo impenitente, di cui si innamora e con cui avrà perfino una figlia. Nel frattempo però le complesse dinamiche della vita claustrale, tra invidie, gelosie, ripicche e tradimenti, porteranno alla rovina la protagonista, prima deposta dall'incarico di priora e poi addirittura arrestata e condannata ad una morte orribile – sepolta viva in una cella di un convento milanese – dopo un processo farsa condotto dall'Inquisizione e basato su confessioni estorte con la tortura. Non avrà miglior sorte Giampaolo Osio, ucciso a tradimento dai suoi stessi amici mentre tenta di fuggire. Eriprando Visconti non indugia più di tanto sui particolari scabrosi dell'amore tra Virginia e Giampaolo, ma delinea bene i personaggi e rende con efficacia e realismo le drammatiche vicende all'interno del convento, con una chiara denuncia delle gravi responsabilità delle gerarchie ecclesiastiche tra perversioni, corruzione, utilitarismo e arroganza. L'uso della macchina da presa, con molte soggettive che aumentano l'intensità della narrazione, si completa con il preciso montaggio e l'ottima colonna sonora. Buono anche il cast dove spiccano l'inglese Anne Haywood e Antonio Sabato, e tra gli altri Tino Carraro, Luigi Pistilli, Carla Gravina, Handy Kruger. Il film uscito nel 1969 ebbe un buon riscontro di pubblico (nella top 12 per gli incassi del box office), ma poche attenzioni dalla critica. E' invece un'opera più che apprezzabile di un regista sorprendente e originale, probabilmente sottovalutato.
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