Raoul Bova è un attore italiano, doppiatore vers. italiana, produttore, scrittore, è nato il 14 agosto 1971 a Roma (Italia). Raoul Bova ha oggi 52 anni ed è del segno zodiacale Leone.
In principio era uno di quei giovanotti di aspetto aitante ai quali chiedere di esserci in pellicole di serie B. Ex campione di nuoto, corpo muscoloso e perfetto, occhi grigio-azzurro velati di malinconia, nessuna mimica facciale nonostante gli sforzi, Raul Bova è arrivato alla popolarità partendo dalla tv: Una storia italiana, lo sceneggiato sui fratelli Abbagnale, una parte ne La piovra, la serie su Ultimo, l‘uomo che ha catturato il mafioso Rima. Al cinema, più che La lupa di Lavia, gli regala popolarità Palermo-Milano: solo andata di Claudio Fragasso. Molti lo chiamano ma pochi s‘aspettano che possa avere una vera carriera da attore: bellissimo, ma statico, inespressivo, legnoso. Poi, arriva la svolta-
Lo vuole Avati per I cava/ieri che fecero l‘impresa, lo vuole Lina Wertmuller per Francesca e Nunziata con Sophia Loren, lo vuole Ozpetek per La finestra di fronte con Giovanna Mezzogiorno, e Ozpetek, naturalmente, lo vuole con gli occhiali, mediocre, normale. Perla critica italiana è la consacrazione. Diventa un nome su cui puntare, l‘attore giovane con cui chiudere un cast, il protagonista di storie complesse.
In questo stesso momento, anche l‘America si è accorta di lui, ma invece di sfruttano perché ha imparato a recitare, lo incorona come l‘ultimo sex-symbol arrivato dall‘Italia. Sotto il sole della Toscana, uscito con successo negli States la scorsa stagione, ne fa un eroe romantico, mentre Allen vs Predator di Paul W. S. Anderson lo trasforma in un eroe a tutto tondo, adorato dagli adolescenti per il coraggio con cui sa battersi contro queste tremende creature. Uscito negli Usa a metà agosto, il film nei primi giorni fa più incassi di Collateral con Tom Cruise. Adesso in Italia si attendono faville.
Raul Bova non si è montato la testa. Ragazzo intelligente anche se di poche parole, moglie veterinario, due bambini che cerca di avere sempre con sé, sostiene che l‘esperienza hollywoodiana lo ha soddisfatto soprattutto perché «migliorando il mio inglese, frequentando le persone e i posti giusti ho dimostrato che anche un italiano può entrare nel giro internazionale. Ma voglio continuare a lavorare in Italia».
Ci riuscirà? Chissà. Gli americani non mollano un divo in ascesa gli avrebbero già offerto di interpretare il ruolo di Rodolfo Valentino in un film sull’unico italiano che sia riuscito a diventare un loro mito; lo vogliono le donne impazzite per uno spot in cui Raul Bova si infila nel letto con indosso un paio di jeans Gap che lo rendono irresistibile.
Vanno a vedere i suoi film. Gli americani gli chiedono l’autografo per strada e lo chiamano il Brad Pitt italiano Quando alla tv Usa e apparso in uno spot dove andava a letto indossando un paio di Jeans Gap, le fan si sono scatenate. «La risposta è stata incredibile», dice Erica Archambauli, portavoce del marchio. «Sappiamo di una signora che si è lussata una caviglia ed è finita all’ospedale: aveva sentito la musica della pubblicità e, per non perdersi Raoul e correre davanti alla tv, è inciampata». Eppure lui, Raoul Bova, fa il modesto. Mette le mani avanti: «Sono tranquillo, non ho fatto certo un film con Al Pacino o Robert De Niro, e neanche mi hanno candidato all’Oscar...». Ma si capisce che bleffa. Il 13 agosto, un giorno prima del suo trentatreesimo compleanno, negli Stati Uniti esce Alien Vs. Predatoi film che rappresenta la sua prima volta da protagonista in un vero kolossal a stelle e strisce (costato circa 100 milioni di dollari, sarà nelle sale italiane il 12 novembre). Insomma, Bova fa il suo gran debutto nella classica “americanata”.
«Film come questi», racconta al telefono da Los Angeles, «sono interessanti da vedere soprattutto per gli effetti speciali, i mostri e i colpi di scena dell’intreccio narrativo fantascientifico. Gli attori, lo ammetto, fanno da collante a tutto questo e poco di più. Ma sia chiaro: far parte di questo cast per me è un onore, anche se credo che sia giusto e normale prendere un po’ le distanze. L’emozione c’è stata e c’è, ovvio, anche perché entrare in un meccanismo così hollywoodiano fa davvero impressione. Ci sono i mezzi, un’organizzazione pazzesca e un’enorme professionalità, ma per fortuna c’è anche l’aspetto umano. Ricordo, all’inizio, che durante una scena davanti alla piramide dovevo appoggiarmi su una parete che avrebbe dovuto muoversi elettronicamente. Prima del ciak, però, il regista Paul Anderson si avvicina e all’orecchio mi chiede di non metterci troppa forza: a spingere, dietro, c’erano cinque operai... Comunque, sono curioso di sapere che cosa rappresenterà questo film nella mia carriera: se un vero successo o una semplice tappa verso qualcos’altro. Di sicuro essere qui, oggi, per me è già una bella soddisfazione. Tutti, o quasi, mi avevano scoraggiato. «In America? Raoul, ma che ci vai a fare? Lì è dura, lascia stare..., mi dicevano. E all’inizio, è vero, le cose proprio non andavano. Poi...».
Poi tutto ha iniziato a girare per il verso giusto. La scorsa stagione, infatti, il film romantico di Audrey Wells Sotto il sole della Toscana (al fianco di Bova c’era Diane Lane) ha incassato 100 milioni di dollari, secondo solo a Lost in Translation di Sofia Coppola, facendo immediatamente salire le quotazioni di Bova. Anche prima, dall’America, le occasioni non erano mancate, ma per Raoul di rìscontri ce n’erano stati davvero pochi. «È vero», ammette «Il film Avenging Angelo, con Sylvester Stallone, fu un flop, e anche lo poi Max Factor, quello dove baciava Madonna, passò quasi inosservato». Liquida l’argomento con una battuta: «Per chiudere l’angolo, adesso dovrei baciare Britney Spears, visto che Madonna l’ha baciata anche lei».
Molto meglio, invece, gli è andata negli ultimi mesi con la pubblicità televisiva per il marchio di moda casual Gap, dove con quei jeans aderenti bucava il video. «Il risultato è stato davvero buono, tant’è vero che io, Sarah Jessica Parker (la protagonista di Sex & The City, altri tre giovani attori di livello internazionale siamo appena stati a Toronto per realizzare le foto della nuova campagna». E c’è lo spot per il rum Bacardi, che Raoul girerà nelle prossime settimane. Insomma, ormai è un attore “americano”, che a Los Angeles ha preso anche una casa in affitto con la moglie Chiara e i figli Alessandro e Francesco. «Parlare di vero trasferimento mi fa paura, vediamo un po’ come vanno le cose e poi valuteremo. Diciamo che per ora stiamo facendo una bella vacanza. Il bimbo grande, comunque, l’ho già iscritto a una scuola romana. E se dovessero cambiare le cose, ci siamo già informati: educare i nostri figli da italiani è possibile anche qui».
Giustamente prudente, se Bova non si stabilirà in America di sicuro passerà sempre più tempo a Los Angeles. «Questa è una città dove si lavora molto», dice, «ma si può vivere anche a New York, come fanno tanti attori. Qui, certo, ci sono i manager, le agenzie gli appuntamenti... E per fare pubbliche relazioni, incontrare le persone giuste ed entrare nel meccanismo dei film importanti, bisogna esserci. Dire che vivremo in America è ancora prematuro. Anche perché, umanamente, mi ricarico soltanto a casa, in Italia. Qui è tutto un dare, perché da questo punto di vista c’è poco o nulla da prendere. Però...». Però la tentazione è forte. Le proposte non mancano. Prima fra tutte il progetto di un film sulla vita di Rodolfo Valentino. Raoul non si sbilancia, ma lascia capire che è quasi cosa fatta. «In America vogliono fare un film su di lui a tutti i costi. Una produzione importante era già partita con altri attori, ma al momento è tutto fermo. Sento che c’è qualcosa di buono nell’aria... Intorno a Valentino, del resto, ci giro da anni, credo sia scritto nel mio destino l’avere a che fare con lui. A novembre, ad esempio, sarò Rodolfo in uno sceneggiato radiofonico di Raidue dedicato a lui».
Altre proposte americane? «Ce ne sono, alcune buone, altre meno: sarà il botteghino a decidere che cosa farò. Qui il mercato regola tutto. Sono contento, però, che a New York e Los Angeles sia uscito La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek. Mi piace far capire che sono capace di recitare in film sia commerciali, sia d’autore. Il mio sogno americano, comunque, è abbastanza scontato: mi piacerebbe lavorare con i mostri sacri come Robert De Niro, Dustin Hoffman e Al Pacino, fenomeni come Sean Penn, Johnny Depp, Daniel Day-Lewis. Ho una lista praticamente infinita».
A Raoul, però, piace anche mantenere la sua italianità. A Praga, nei quattro mesi delle riprese di Alien, ha dato addirittura lezioni di canto. Preparando anche caffè e spaghetti. Insomma, una cartolina vivente. «Non esageriamo. È andata così: durante una pausa canticchiavo ‘O sole mio e tutti l’hanno riconosciuta. Così, assieme a Sanaa Lathan (la protagonista femminile) l’ho tradotta in inglese. Caffè e pasta, invece, li ho preparati spesso. Ma tutti quelli che volevano assaggiare non li ho potuti accontentare. Perché l’ho fatto? Perché sono spontaneo e non mi andava di fare il “perfettino” professionale o scimmiottare gli americani. E poi perché sono quello che sono: un italiano».
Da Vanity Fair, n. 34, 2004