Krzysztof Kieslowski. Data di nascita 27 giugno 1941 a Varsavia (Polonia) ed è morto il 13 marzo 1996 all'età di 54 anni a Varsavia (Polonia).
Nel 1993 annunciava: “Non farò più cinema. Me ne starò in campagna, sdraiato sui divano, senza scarpe, a fumare sigarette”. La decisione somigliava a quella della sua protagonista Juliette Binoche in Film blu (“ Ho deciso di fare niente. Niente più conta”), però la faccia così intelligente di Kieslowski era ridente, gli occhi bellissimi avevano un luccichio ironico, magari scherzava, pochi gli credettero: e infatti un mese prima di morire, a Torino, a un convegno in cui si discuteva di musica nel film, disse d’aver cambiato idea, ripeté di voler realizzare una trilogia dalla Commedia di Dante, un Inferno, un Purgatorio, un Paradiso. Gli era tornato il desiderio che non ebbe avuto tempo di appagarlo. Regista straordinario, col suo cinema d’ansia e d’inquietudine Kieslowski ha riportato sullo schermo la cognizione del dolore e il dubbio morale, la dimensione metafisica e l’esperienza della colpa. Senza certezze: “Non ho il diritto di prescrivere rimedi, di offrire formule, di fornire risposte. Posso soltanto dialogare con gli spettatori su cose che considero essenziali”. Senza astrazioni: l’ambiente realistico dei suoi film nasce dall’osservazione quotidiana della vita affinata per anni nel lavoro di documentarista, da uno sguardo esatto e pessimista, da un approccio di limpida profondità, d’alta semplicità. E ogni sua immagine è perfetta, perfettamente eloquente, perfettamente originale e sorprendente. Lo conoscevano in pochi sino al 1988, quando arrivò al festival di Cannes Non uccidere, resoconto senza enfasi, insopportabile per l’intensità quasi ipnotica, d’un omicidio privato e d’un pubblico omicidio, d’un ragazzo assassino d’un tassista e dello Stato assassino del ragazzo, di due modi diversi ma parallelamente inaccettabili d’infliggere la pena di morte. Era la versione particolare d’uno dei dieci film realizzati per la televisione polacca sui Comandamenti della dottrina cattolica, quel Decalogo giustamente considerato il suo capolavoro, che aveva assorbito tanta parte della sua vita creativa guadagnandogli l’ammirazione del mondo. Anche i non specialisti impararono a conoscere questo autore censurato in Polonia e premiato ai festival, nato a Varsavia, segnato da un’infanzia sradicata (diciannove traslochi in sedici anni, per seguire sino alla morte il padre malato di tubercolosi), con l’ambizione d’essere regista teatrale, arrivato al cinema per puro caso: “I cineasti dicono sempre d’aver amato il cinema sin da bambini. Io non l’ho mai amato, non sono mai stato sedotto da un film...” Allievo della famosa scuola di cinema di Lodz, realizzò lì i suoi primi saggi: poi, una lunga e decisiva attività nel documentario, i primi film di fiction per la tv, altri film che lo fecero giudicare un autore politico, sino all’insolito affascinante Decalogo: “Un punto di vista non religioso, piuttosto laico, su un sistema di norme, una convenzione, una sorta di Costituzione universale riguardante tutti, che vige da migliaia di anni e che nessuno sinora ha messo in discussione”. Sempre rimasto in Polonia nonostante ogni pressione politico-censoria, Kieslowski lasciò il suo Paese nel 1990 per ragioni economiche, perché il cinema polacco senza soldi non gli avrebbe consentito di seguitare a lavorare come voleva, ed emigrò in Francia, dove girò una parte del thriller metafisico La doppia vita di Veronica con Irène Jacob protagonista-rivelazione, e i tre film illustranti con i colori della bandiera di Francia le parole-concetto essenziali della Rivoluzione francese e della civiltà moderna: libertà, uguaglianza, fraternità. Film blu (1993), con Juliette Binoche meravigliosa, esprime il sentimento ineffabile della libertà nel dolore raccontando l’autoreclusione dalla vita, la scelta di solitudine, ma anche la impossibilità di liberarsi di se stessi e di esistere senza amore. In Film blance (1993), girato in parte in Polonia, il candido vuoto dell’assenza simboleggia la nuova uguaglianza dell’avidità egoista, della povertà e del capitalismo selvaggio, ormai simili nell’Europa occidentale come in quella centro-orientale. Film rosso (1994) condensa tanti elementi del cine-universo di Kieslowski: il voyeunismo, lo spionaggio della vita altrui nella vacuità della propria, il vivere vicini ed estranei sempre sfiorandosi senza mai conoscersi; la casualità che governa le cose umane; il personaggio onnisciente e preveggente che come un regista modifica o determina il destino degli altri.
Frequenta dal 1957 al '62 la Scuola di Tecniche Teatrali. Si iscrive alla Scuola di Cinema e vi si diploma nel 1969. I due interessi - cinema e teatro - lo conducono, da una parte, a entrare nello Studio Tor, diretto da Roszewicz e poi da Zanussi, e, dall'altra, a svolgere una intensa attività di regista teatrale, a Varsavia e a Cracovia. Una lunga serie di documentari apre il suo tirocinio cinematografico, che sfocerà nella narrazione distesa con Blizna (La cicatrice, 1976) e con Amator (Il cinematore,1979). E che, attraverso le tormentate vicende della Polonia (a cominciare dalla dichiarazione dello «stato di emergenza» nel dicembre 1981), porterà Kieslowski alla definitiva messa a punto del proprio universo poetico, permettendogli di superare ogni ostacolo per costruire due «blocchi» - i dieci film del Decalogo (1989) - e i tre film idealmente dedicati alla Francia Tre colori-film blu (1992), Tre colori-film bianco (1993), Tre colori film rosso (1994) che costituiscono la più «rivoluzionaria» novità degli anni '90. A dividere i «blocchi» sta il film sulle coincidenze e l'identità che s'intitola La doppia vita di Veronica (1991), troppo lambiccato per essere autentico.
La versione kieslowskiana dei dieci comandamenti si presenta in abiti laici ma nulla mai, al cinema, è apparso più profondamente religioso. Decalogo, dieci film di un'ora, uno per ciascun comandamento, narra di esseri umani condannati a una espiazione crudele da un Dio inflessibile, muto, forse maligno. Sono dieci storie tesissime, brutalmente esplicite (dolori, rancori, vendette, idiozie, follie), che Kieslowski narra schiacciando i personaggi, se si può dire, sotto la macchina da presa, senza concedergli - come il Dio che evoca, non clericalmente - scampo alcuno. Con altrettanta durezza e con aperta tendenza allo sperimentalismo il regista tratta i personaggi della «trilogia» francese: la attonita vedova di un musicista che la tradiva (Film blu), la beffarda vendetta di un barbiere polacco contro la moglie (e contro l'Occidente: Film bianco), il caso che condanna e salva un vecchio magistrato (Film rosso). Non c'è pietà, se non forse in Film rosso, dove non solo si smaschera l'ignobile grettezza del giudice svizzero (Jean-Louis Trintignant) ma si guarda con speranza alla vita futura della giovane Valentine. C'è, sempre, la «pressione» implacabile sugli esseri umani che l'occhio del regista osserva freddamente, secondo la sua ideologia inclemente (sua e dell'abituale sceneggiatore Krzysztof Piesewicz), il suo gusto per l'orrore mentale.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995