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Il crimine in doppio petto: Samurai, Cinaglia e il giovane Lele

Francesco Acquaroli, Filippo Nigro e Eduardo Valdarnini sono i potenti intrallazzatori della serie.
di Andrea Fornasiero

Filippo Nigro (53 anni) 3 dicembre 1970, Roma (Italia) - Sagittario. Interpreta Amedeo Cinaglia nel film di Michele Placido, Andrea Molaioli, Giuseppe Capotondi Suburra - La serie.
venerdì 6 ottobre 2017 - Netflix

Criminali in doppio petto o "smart casual", i romani di Suburra - La serie sono meno coatti ma non meno pericolosi dei loro analoghi di Ostia. Potenti intrallazzatori e corrotti dagli interessi tentacolari, devono tutti in qualche modo fare i conti con il meditabondo Samurai, qui interpretato non più di Claudio Amendola bensì da Francesco Acquaroli, reduce dal successo di Rocco Schiavone e che già aveva avuto il piccolo ruolo del padre del Libanese in Romanzo Criminale - La serie.

Entra nella sfera di influenza del Samurai il politico Amedeo Cinaglia, interpretato da Filippo Nigro, attore già passato per la regia di Ozpetek e in Tv per due stagioni di RIS.
Andrea Fornasiero

Il più giovane è infine Lele Marchilli, di cui veste i panni Eduardo Valdarnini, fin qui noto più che altro per la commedia Qualcosa di nuovo di Cristina Comencini. Li abbiamo incontrati in occasione della prima romana di Suburra - La serie.


L'INTERVISTA

Alcuni personaggi si rifanno ai casi di cronaca di Carminati e Buzzi, come vi siete rapportati a queste figure?
FRANCESCO ACQUAROLI: Per la scrittura del romanzo il modello del Samurai poteva essere stato Carminati, ma il prodotto della scrittura è sublimato, non è un documentario. Io non conosco personalmente Carminati, e mi piacerebbe sentire cosa ne pensa se e quando vedrà la serie, ma non penso si ritroverà molto nel mio Samurai, come del resto non si era ritrovato in quello di Amendola.
Come attori ci dobbiamo immergere nella sceneggiatura e che sia o meno presa dalla realtà per il nostro lavoro è indifferente. Poi è chiaro che il materiale della cronaca - che ho visionato e studiato - può essere un'ispirazione, ma più che altro per i dettagli, perché la radice sta nella scrittura. Un lavoro di finzione è tanto più valido quanto più si allontana dalla realtà, per poi paradossalmente farci riflettere sulla realtà che ci circonda, ma se non avviene un arco di sublimazione, di finzione, questo processo non funziona.

FILIPPO NIGRO: Penso che nessuno si riconosca mai nella propria interpretazione... Leggevo che John McEnroe non si ritrova nel film Borg McEnroe, è inevitabile. Il riferimento a Buzzi ci sta, ma purtroppo ce ne possono stare molti altri, non è l'unico. Non ho lavorato pensando alla storia personale e giudiziaria di Buzzi, neppure minimamente. Sono andato in Campidoglio, in aula Giulio Cesare, ho studiato, ma mi ha aiutato che nella scrittura il mio personaggio poggiasse su drammi e turbamenti molto comuni e umani. La voglia di essere riconosciuto nelle proprie qualità e avere successo è un desiderio di tutti, però né il partito né la ex moglie hanno considerazione di Cinaglia. Paradossalmente lo valorizza Samurai. Il mio personaggio parte dal sociale con ideologia di sinistra, ma è stanco e sopraffatto, attorniato da una situazione corrotta che forse ingenuamente all'inizio non coglie, ma che poi decide di navigare.

Quindi c'è quasi un riscatto nella corruzione?
FILIPPO NIGRO: È per lui sia una sconfitta sia un riscatto. Come quando si fa un'infrazione ma ci si giustifica, perché si pensa di essere ancora bravi e onesti, anche se in realtà il salto è già stato fatto. I corrotti spesso non si sentono del tutto colpevoli.

Anche Lele attraversa un percorso simile.
EDUARDO VALDARNINI: La bontà per l'attore è relativa, ognuno si sente buono, ha i suoi valori rispetto al suo scopo. Il mio personaggio non sarebbe andato in quella direzione se pensasse di fare davvero qualcosa di cattivo. Si può avere un'inclinazione per essere stronzi, ma credo sia il contesto a far emergere una certa cattiveria.

FRANCESCO ACQUAROLI: Non è un caso che il titolo della serie sia un luogo, attraverso il quale si passa, si accetta di entrare nella zona d'ombra e questo è gesto consapevole. Le motivazioni possono essere le più diverse. Del Samurai non le sappiamo ma anche lui, come tutti gli altri, ha compiuto i suoi passi consapevolmente.


In foto Eduardo Valdarnini.
In foto Francesco Acquaroli.
In foto Francesco Acquaroli e Filippo Nigro.

Lei interpreta un personaggio che è già stato incarnato da Claudio Amendola, come si è posto rispetto all'interpretazione data nel film?
FRANCESCO ACQUAROLI: In nessun modo. Credo che abbia fatto un lavoro straordinario, ma non ho cercato né di imitarlo né di evitarlo, forse abbiamo anche fatto cose simili. Io devo necessariamente partire da me e non posso far altro che mettermi in rapporto con me stesso e con le informazioni che ho assimilato, che stimolano la mia creatività. E la creatività ha percorsi molto individuali e personali.

Esiste ancora il rischio che la serialità blocchi un attore in un personaggio?
FILIPPO NIGRO: Quando vidi Six Feet Under non capivo perché fosse una serie e non un film. Ci rimasi male perché era così bella, mi sembravano pazzi. Era un mio pregiudizio. Con l'arrivo di serie di questa qualità il typecasting della lunga serialità sta sparendo, è legato a prodotti di un'altra era, in cui più che un personaggio si rappresentava una categoria, una professione. Io ero in RIS e ho lottato per andarmene alla seconda stagione, proprio perché avevo il terrore che diventasse troppo tardi. La serie è andata avanti fino alla settima stagione. Poteva essere comodo restare, ma c'era il rischio di finirci incastrati.

EDUARDO VALDARNINI: La speranza è che il personaggio abbia un'evoluzione, un respiro, che non si riduca alla macchietta di una professione. Può essere che venga riconosciuto per questa serie, ma ben venga se mi darà la possibilità di continuare a lavorare su tanti progetti.

A proposito di evoluzione, il tuo è probabilmente il personaggio che si trasforma di più nel corso della serie, come vedi il suo arco narrativo?
EDUARDO VALDARNINI: Da quando ho letto la prima volta lo script l'ho subito considerato un romanzo di sporcatura, sul declino di un bravo ragazzo. Lele potrebbe essere il figlio modello che non avrebbe problemi a fare una vita regolare. Invece lui fa un cammino verso qualcosa che nemmeno conosce, vuole di più anche se non sa cosa, credo per un narcisismo di fondo e una mancanza affettiva. Nella sua discesa agli inferi si ritiene nel giusto anche quando peggiora le cose e il suo rapporto con Sara ha qualcosa di malato, sono due persone disfunzionali. È il sintomo di qualcosa che non è, è uno specchio.


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