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La produzione e la macchina da presa: gli autori di Suburra

Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi sono i tre registi al comando della serie.
di Andrea Fornasiero

venerdì 6 ottobre 2017 - Netflix

Suburra - La serie è diretta tra tre registi: Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, dietro la macchina da presa rispettivamente delle prime due puntate, delle successive quattro e delle ultime quattro.

Abbiamo incontrato Placido e Molaioli in occasione della prima romana, dove i due erano accompagnati dalla producer Gina Gardini, che lavora fin dalla sua genesi al filone malavitoso della Tv italiana con Romanzo criminale - La serie, quindi Gomorra - La serie e i film di Stefano Sollima, tra cui naturalmente Suburra.
Andrea Fornasiero

Ancora più apripista però era stato Placido, che con il film di Romanzo criminale ha dato il via alla rinascita crime italiana, poi da lui proseguita in Vallanzasca. Molaioli si era a suo modo cimentato in questioni criminali prima con la provincia di La ragazza del lago e poi con la finanza di Il gioiellino.


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L'INTERVISTA

Suburra è un prequel, del film e del libro, come vi siete rapportati alle opere da cui è tratta la serie?
MICHELE PLACIDO: Io non avevo mai letto neppure "Romanzo criminale", l'ho fatto dopo il film. Sono abituato a rapportarmi solo alle sceneggiature. A noi basta quello anche perché abbiamo i migliori scrittori in assoluto, sia oggi sia all'epoca di Romanzo criminale con Rulli e Petraglia, che hanno adattato un libro enorme. Se l'avessi letto avrei girato in modo un po' disturbato dalla mole del romanzo. Però ho visto e apprezzato molto il film di Sollima, prima che mi fosse proposta Suburra - La serie.

ANDREA MOLAIOLI: Io avevo letto a suo tempo "Suburra" e pure il film l'avevo visto prima di essere coinvolto. Da una parte fanno per me da documentazione per il lavoro, dall'altra però cerco almeno in parte di dimenticarmene. Fin dalle prime chiacchiere con Gina, Suburra - La serie era una costola che doveva diventare una creatura a se stante, doveva vivere autonomamente. Il lavoro doveva quindi essere totalmente originale, senza tenere conto delle matrici che l'avevano generato.

GINA GARDINI: Siamo qui perché Monini e De Cataldo hanno scritto il libro per fortuna, così come eravamo fortunati a fare il film, ma la serie ha uno sviluppo proprio. Si è scelto di fare un prequel precisamente per avere la libertà totale di raccontare i personaggi prima di come li abbiamo già conosciuti al cinema. E secondo me vedere com'erano rispetto a come sono nel film solleva mille domande. Si tratta di qualcosa di analogo a Better Call Saul, dove Saul Goodman è un personaggio che non rispecchia se non in minima parte quello che era in Breaking Bad. Quindi non vedi l'ora di vedere, stagione dopo stagione, come si trasformerà nel personaggio di Breaking Bad. Con qualsiasi serie, uno dei lavori che cerco di fare con gli scrittori è immaginare un ampio arco narrativo di tre stagioni. Ci aiuta tantissimo a focalizzare la prima annata, a capire se c'è uno sviluppo abbastanza sostanzioso perché, anche se non sappiamo se avremo una seconda stagione, è importante sapere dove si sta andando e a che punto ci si trova.

È peggiore la Roma di Suburra o quella di Romanzo criminale?
MICHELE PLACIDO: Ai tempi di Romanzo, 1977-1981, c'erano il rapimento Moro, la strage di Bologna, il terrorismo... Era un'Italia dilaniata, tragica, dove sembrava non ci fosse via d'uscita. Invece poi ne siamo usciti e si è pacificata la situazione, creando un vermaio sotterraneo. Il popolo oggi crede di stare nella normalità mentre vige una sorta di regime che cerca di mantenersi al potere. Credo che una città come Roma, che dovrebbe essere una capitale europea, sia paralizzata da una corruzione che fa paura, e che all'epoca di Romanzo veniva combattuta come in una specie di guerra civile, con le divisioni ideologiche. Oggi le ideologie sono scomparse e abbiamo una classe politica a cui della politica non importa niente. È anche questo che racconta Suburra.

Per entrambi è la prima regia in una serie televisiva di questo tipo, come ci siete arrivati e come vi siete trovati?
ANDREA MOLAIOLI: Grazie a Gina e a Cattleya, che avevano già realizzato un'idea di serialità diversa da quella più consuetamente praticata a queste latitudini. Una serialità che non vedo come "televisione", ma come la ricerca di una forma di narrazione più ampia, dove non ci si dimentica però cosa vuol dire fare cinema. Poi sapere che era il primo progetto con Netflix, con un impianto produttivo di un certo tipo e con una potenziale audience mondiale era molto stimolante. L'elemento più nuovo è stato mettermi in campo insieme ad altre persone, con un lavoro da fare in gruppo, su una strada comune. Penso che Suburra - La serie abbia alla fine elementi distintivi di ognuno di noi registi, ma sia comunque un corpo unico ed è un piccolo miracolo. Questo grazie a una lunga preparazione, dove Gina è stata fondamentale nell'originare il tutto, nel seguire i vari passaggi e fare da memoria storica. Ci ha condotti per mano, aiutandoci a passarci il testimone.

MICHELE PLACIDO: Mi ha molto stimolato l'idea di entrare attraverso Netflix nella serialità che vedono oggi i miei figli, che guardano quasi solo serie e non vanno più al cinema, tantomeno a vedere film italiani. Speriamo che la nuova legge sul cinema possa stimolare nuove forme di investimento, magari anche da Netflix. Abbiamo avuto complimenti molto importanti da Los Angeles per il lavoro svolto. A Suburra - La serie partecipa anche la Rai, perché ha capito che i giovani fuggono su altri canali e altre situazioni.

La colonna sonora è estremamente variegata, come ci si è arrivati?
GINA GARDINI: Mentre stavamo sviluppando la serie, io e Patrizio Marone abbiamo iniziato la nostra ricerca sulla musica. Nel film erano importantissimi gli M83, ma erano anche molto specifici. Abbiamo guardato alla musica ecclesiastica, sinti, al rap hardcore romano e ai gruppi elettronici - sulla scorta dell'esperienza di Suburra con Stefano Sollima dove è stato molto importante il ruolo dei Mokadelic. Abbiamo accumulato una library di circa 400 pezzi. Alcuni brani li conoscevo, perché sono sposata con un romano e ho un figlio di 12 anni: per esempio la sigla di chiusura, Sette Vizi Capitale di Piotta e Muro del Canto, la sentivo in auto con mio figlio. La ricerca per la colonna sonora originale è stata molto lunga, perché non si usa musica che si ascolta abitualmente, ma sono molto contenta del risultato. Ci siamo avvalsi del contributo di Loscil, nome d'arte di Scott Morgan, un candese di Vancouver che fa musica sperimentale. Il suo è un lavoro sui suoni ambientali e noi ne abbiamo assemblate molte parti per creare il nostro commento musicale e la sigla. Il tema principale dei tre ragazzi poi l'ha co-firmato con la violinista di degli Arcade Fire.


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Michele Placido.
Michele Placido.
Una scena dal set di Suburra - La serie.

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