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Il Male che proviene dalla strada: i fratelli Adami e gli zingari Anacleti

Alessandro Borghi, Barbara Chichiarelli e Giacomo Ferrara sono i feroci criminali della periferia romana.
di Andrea Fornasiero

Alessandro Borghi (37 anni) 19 settembre 1986, Roma (Italia) - Vergine. Interpreta Aureliano Adami nel film di Michele Placido, Andrea Molaioli, Giuseppe Capotondi Suburra - La serie.
venerdì 6 ottobre 2017 - Netflix

Provengono dalla strada i feroci clan criminali degli Adami di Ostia e degli zingari Anacleti. A interpretare i principali esponenti del primo sono Alessandro Borghi e Barbara Chichiarelli, rispettivamente Alessandro e Livia Adami, fratello e sorella molto legati ma pure divisi dagli interessi criminali. Se Barbara Chichiarelli arriva dal teatro e per lo schermo è un'esordiente, Alessandro Borghi invece è attivo tra cinema e Tv già da diverso tempo, ma il suo talento si è fatto notare solo con l'intenso ruolo del numero 8 in Suburra e con la partecipazione a Non essere cattivo.

In Suburra - La serie Alessandro Borghi riprende il proprio personaggio, tornando però indietro nel tempo, perché il film aveva luogo nel 2011 mentre la serie inizia nel 2008.
Andrea Fornasiero

Lo stesso fa Giacomo Ferrara con Spadino degli Anacleti, che aveva un piccolo ruolo anche nel film. Li abbiamo incontrati in occasione della prima romana di Suburra - La serie.


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L'INTERVISTA

È insolito riprendere un personaggio e interpretarlo come fosse più giovane, accettare è stata una decisione difficile?
ALESSANDRO BORGHI: Non avevo molte cose in cantiere allora, quindi ho detto sì di corsa. Anche perché Suburra - La serie era solo un'idea, non si sapeva niente di cosa sarebbe stata, di chi sarebbero stati i registi. La prima cosa che ho apprezzato è stata l'occasione di avere più tempo per raccontare un personaggio che avevo amato molto. Io dico spesso che Suburra - La serie, per quello che riguarda i tre personaggi più giovani, è una serie molto più di formazione che crime.

Suburra è una serie sul Male e il suo fascino?
GIACOMO FERRARA: C'è il personaggio di Nigro, Amedeo Cinaglia, che è il politico in cui tutti noi speriamo all'inizio, che mostra come purtroppo tutto si possa corrompere. Il potere ha un alone troppo forte. Tutti i personaggi però partono da un sentimento con cui si entra in empatia, poi fanno quello che fanno, ma l'empatia è quella. Il mio personaggio ha una maschera che piano piano si sgretola per poi ricomporsi.

BARBARA CHICHIARELLI: Di fronte a quello che vediamo abbiamo la necessità di trovare una dicotomia, un bene e un male, un giusto e uno sbagliato, così finiamo a volte per non vedere le sfumature. Abbiamo bisogno, anche in una serie del genere dove non ci sono buoni e cattivi, di trovare qualcuno con cui simpatizzare. Ognuno nel pubblico sceglierà un suo preferito, probabilmente il personaggio le cui debolezze gli sono più affini. C'è una frase di Samurai che dice "tutto ha un prezzo", secondo me, senza rivelare nulla, la stagione si chiude su questo punto. Sul decidere se tutti abbiamo un prezzo oppure no.

Una figura come Livia, così femminile e allo stesso tempo così forte, nella rappresentazione della malavita romana è molto insolita, praticamente senza modelli a cui guardare.
BARBARA CHICHIARELLI: Posto che noi attori dobbiamo studiare e che questo lavoro si fa andando in giro, guardandosi intorno, questa personalità viene dalla mia vita. Io sono la più grande di tre sorelle e quindi ho interiorizzato una componente maschile - chiamiamola così perché queste sono le categorie sociali, ma direi che si tratta di un ruolo protettivo. Quindi mi è venuto naturale fare la sorella maggiore con Alessandro e se devi proteggere qualcuno devi essere in grado di farlo. In Italia in particolare si pensa ancora alla donna che non riesce a fare un certo tipo di cose o comunque ha bisogno di un supporto, e quando non è così tutti si stupiscono. È una cosa che trovo imbarazzante. Io so portare la moto e cambiare una presa elettrica, senza per questo sentirmi un'eroina. Sono contenta che sia emersa anche la femminilità nel mio personaggio, ma se si vuole rispetto - e questo dipende anche dal contesto più ampio di Roma - una donna deve sottolineare la propria forza di carattere, anche al semaforo devi alzare la testa sennò ti prendi della cretina o stronza. Viene dalla vita questa necessità di sembrare un po' più larghi di come si è.


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In foto Alessandro Borghi.
In foto Giacomo Ferrara.
In foto Alessandro Borghi.

Che differenze avete riscontrato tra il set del film e quello della serie?
ALESSANDRO BORGHI: Innanzitutto annuncio il mio amore sconfinato per Stefano Sollima, che è stato il primo a fare di me un protagonista in un film dal cast stellare. Sono stati set estremamente diversi, sia perché sono diversi i registi ma soprattutto per la differenza del progetto, del tempo a disposizione. Io sono sempre stato un po' spaventato dal concetto di routine, anche nella vita, e l'idea di fare lo stesso personaggio per sette mesi mi inquietava. Ho cercato di trovare cose nuove da portare sul set, con una sana paura di non riuscirci, perché non volevo accorgermi dopo due mesi che mi stavo ripetendo da settimane. Nel cinema questo rischio non c'è, perché si lavora pochi giorni e se da una parte si ha meno possibilità di raccontare un personaggio, dall'altra se ne hanno anche meno di sbagliare, se si inquadra subito la strada giusta.
Con Placido è stato un set bellissimo, porta una scarica di energia meravigliosa, ti butta sul set, vede cosa fai e poi si butta in mezzo, fa lui la scena, fa tutti i personaggi, anche le donne, come è tipico degli attori che fanno i registi. Ci sono state poi differenze enormi anche tra Placido, Molaioli e Capotondi, di relazioni con gli attori, con la macchina da presa, di linguaggio, di approccio... E questo aiuta a smuovere le cose ed evitare il rischio della routine.

Suburra è una serie molto radicata nel territorio e nella sua lingua, come vi siete posti in rapporto al dialetto?
GIACOMO FERRARA: Io ho lavorato su tre linguaggi differenti: il romano, un simil abruzzese e il sinti, perché ogni persona in base alla situazione in cui si trova parla in modo diverso. Io da abruzzese fuori sede se sto a Roma comunque parlo romano e se sto a casa mia parlo abruzzese, il sinti invece il mio personaggio all'inizio non lo parla per un rigetto culturale, quindi andava trovata una via di mezzo tra il sinti e il romano che è stata, per certi versi, la fonetica del mio dialetto.

ALESSANDRO BORGHI: In Non essere cattivo, che era ambientato nel 1995, il dialetto era diverso, era un romanesco più legato alla parola, simile a quello che parlava anche mio nonno, e meno all'atteggiamento, oggi invece è il contrario. Il bello è che non ci siamo dovuti preoccupare di essere troppo comprensibili: se lo fai lo devi fare bene, se no sembra che stai scimmiottando le cose ed è meglio lasciar perdere.


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