Due cineasti di grande esperienza e nel pieno di una seconda giovinezza.
Mi è capitato di vedere per la prima volta solo di recente Allonsanfàn di Paolo e Vittorio Taviani, del 1974. Così i due registi ne parlano nel libro "Il cinema italiano d'oggi: 1970-84" di Fofi e Faldini (Mondadori): «Abbiamo usato la storia per parlare del presente. Noi abbiamo sempre fatto così. Quando in una storia del passato trovavamo qualcosa di affine a certi stati d'animo che vivevamo, allora prendevamo quel periodo storico scomponendolo, ricomponendolo, facendo un'opera di sincretismo storico e non rispettando la storia. Perché se un professore analizzasse Allonsanfàn, direbbe che è tutta una follia...». Poche righe per una complessa e articolata dichiarazione di poetica. La storia al cinema (ma vale per ogni suo processo di narrazione) si rispetta ma non è necessario esserle fedele alla lettera. In questo i fratelli Taviani sono stati maestri, sia affrontando affreschi epocali come la restaurazione post-giacobina di Allonsanfàn, sia partendo da una storia apparentemente più marginale come quella di San Michele aveva un gallo (1972), dove il tentativo rivoluzionario è rivolto al sovvertimento dello status quo di un piccolo paese umbro. In questo secondo caso il punto di partenza è letterario (il racconto "Il divino e l'umano" di Tolstoj), altra consuetudine dei due cineasti toscani.