“E’ molto importante per me che è il personaggio femminile a condurre la storia e a dominare la relazione con i due uomini. Volevo raccontare una donna mediorientale che decide e sceglie la propria vita, non passiva, che non segue le regole previste per lei dalla società. Ho conosciuto tante donne simili a questo personaggio nella realtà del Medio Oriente, dove sono cresciuto e ho vissuto, ma la comunicazione, anche cinematografica, non le ha valorizzate, questi straordinari personaggi femminili sono stati ignorati e non solo dalle società in cui vivono. La protagonista del film è una ragazza araba che abbandona la classe degli aggressori, a cui appartiene, e sceglie di schierarsi tra le vittime. Sacrificando sé stessa, prende sulle proprie spalle il peso dei peccati della sua classe.

Sullo sfondo, una piccola parte della storia del popolo curdo, anche questa ignorata dalla comunicazione cinematografica e generale. Il racconto del genocidio programmato in Iraq da Saddam Hussein contro le minoranze etniche e in particolare contro i curdi. Una storia che non è del tutto passata, un pericolo – la persecuzione sistematica di specifiche minoranze - non completamente scongiurato. Continua a ripetersi e corre il rischio di esplodere in forme più gravi, in molti contesti. Ho sentito la necessità di raccontare uno di questi episodi ignorati, come possibile antidoto a ripetere queste logiche ciecamente. Credo che ogni genocidio, ogni persecuzione, deve entrare nella memoria collettiva e risvegliare l’attenzione contro il riprodursi di alcune circostanze tipiche che lo scatenano e il cinema può essere uno strumento molto efficace per generare memoria collettiva.

Io sono appassionato della narrazione. La narrazione comunica e può diventare denuncia senza perdere fascino e attrazione per chi la segue. Ogni narrazione ha il suo stile. Questo racconto, che viene narrato per la prima volta al cinema, ha richiesto, a me, una certa semplicità stilistica, per potenziare la comunicazione, e la necessità assoluta di girare il film nei luoghi veri dove si sono svolti, pochi anni fa, gli eventi. I visi dei tanti attori e non attori locali che hanno partecipato raccontano con le loro espressioni molte pagine non scritte. I luoghi, le luci, le atmosfere raccontano le dinamiche e la misura degli eventi, sono stati una scenografia naturale su cui innestare il nostro intervento.

Ho scelto di raccontare una storia dell’Iraq di 22 anni fa per cercare di scoprire qualcosa sull’Iraq di oggi e il possibile Iraq di domani. Questo film, che evoca alcuni orribili momenti della storia recente, è in realtà un film sull’amore, sulla conoscenza e sulla speranza di una possibile riconciliazione. Viviamo in una situazione in cui per identificare la forza dell’amore abbiamo bisogno di contrapporlo ai lati più orribili dell’esistenza."

Fariborz Kamkari