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La voce di Hind Rajab e le altre voci che hanno raccontato la Palestina al cinema

Da Amos Gitai a Saverio Costanzo, ecco chi ha messo al centro della riflessione la Palestina martoriata e i quasi ottant'anni di conflitti con Israele.
di Giovanni Bogani

martedì 23 settembre 2025 - Focus

La voce di Hind Rajab ci porta prepotentemente davanti agli occhi l’orrore della carneficina in atto a Gaza. E Hind Rajab, con la sua voce, con il suo volto – svelato dalle foto nel finale – diventa icona tragica, il simbolo stesso di quella che non è una guerra, ma un tiro al bersaglio. Hind diventa voce e volto per le migliaia di bambine e bambini che una voce e un volto non ce l’hanno. Così come Anna Frank era diventato corpo, volto, voce dell’Olocausto. Perché i numeri, seppure enormi, imponenti, tragici sono un mucchio indistinto, non scuotono l’anima come una singola voce, come un singolo volto. Così come la bambina con il cappottino rosso, unico squillo di colore nel bianco e nero di Schindler’s List (guarda la video recensione) di Steven Spielberg, unica macchia di rosso, di vita, nel grigio cenere del film – la ricordava recentemente anche Adriano Sofri, in un suo articolo.   

Adesso la strage infinita di Gaza, con il Gran premio della giuria a Venezia a La voce di Hind Rajab, è un po’ meno invisibile di prima. Può servire, un gran film, o anche solo un film crudo, diretto e potente, per scuotere le coscienze. Un film di quelli che diventano topics di discussioni, non soltanto fra gli appassionati dei festival. 
Però, ci pensi un attimo e ti sembra impossibile che quasi ottant’anni di conflitti, dalla fine della Seconda guerra mondiale, uno stato di guerra quasi ininterrotta fra Israele e i paesi arabi, la storia della Palestina martoriata non siano state raccontate tanto dal cinema. E infatti. La Palestina è stata raccontata, al cinema. Anche da film che sono stati premiati a livello internazionale. 


SCOPRI IL FILM LA VOCE DI HIND RAJAB
In foto una scena del film Paradise Now.
PARADISE NOW

Paradise Now di Hany Abu-Assad è del 2005. È un film di finzione, che mette in scena la vicenda di due amici palestinesi reclutati per un attentato suicida in Israele. Il film segue le loro ultime 48 ore, il rapporto fra loro, il peso morale della loro decisione. Il film ha vinto il Golden Globe come miglior film internazionale ed è stato candidato all’Oscar. È disponibile su Apple tv+. 


In foto una scena del film The Idol.
THE IDOL

The Idol, nel 2015, racconta – romanzandola – la vicenda vera di Mohammed Assaf, cantante palestinese di Gaza che ha vinto “Arab Idol”, versione mediorientale di “American Idol”. Dal piccolo campo profughi al palco arabo, il film mescola fiction e materiale reale.


In foto una scena di 5 Broken Cameras.
5 BROKEN CAMERAS

5 Broken Cameras, del 2011, documenta la resistenza non violenta dei Palestinesi contro l’espansione dei territori israeliani, vista attraverso gli occhi di un contadino che documenta le proteste, e si vede spaccare cinque videocamere. Il film ha ricevuto la nomination all’Oscar per il miglior documentario.  


In foto una scena del film Wajib - Invito al Matrimonio.
WAJIB

È interessante il percorso di Annemarie Jacir, che dopo il documentario Salt of This Sea firma nel 2017 Wajib, commedia dolceamara su un padre e un figlio che percorrono Nazareth consegnando inviti di nozze, e cogliendo ovunque tensioni e riflessioni sull’identità palestinese in Israele. 


In foto una scena del film Ghost Hunting.
GHOST HUNTING

Premiato a Berlino, Ghost Hunting di Raed Andoni, del 2017, è un documentario in cui ex prigionieri palestinesi mettono in scena la tortura e la loro detenzione nelle carceri israeliane. Premiato come miglior documentario a Berlino. E sempre fra i documentari, si chiama Gaza il documentario di Garry Keane e Andrew McConnell che nel 2019 raccolgono ritratti quotidiani di abitanti della Striscia di Gaza, per mostrare la loro vita sotto assedio. 


In foto una scena del film Private.
PRIVATE

Premiato a Locarno con il Pardo d’oro, Private è il film d’esordio di Saverio Costanzo, che nel 2004 mette in scena l’occupazione di una casa palestinese da parte di un plotone di soldati israeliani. Il film mostra l’impatto quotidiano dell’occupazione. 


In foto una scena del film Intervento divino.
INTERVENTO DIVINO

Vinse il Leone d’argento a Venezia Divine Intervention, di Elia Suleiman, che costruisce quadri comici e assurdi sulla vita a Nazareth e a Ramallah, dove l’umorismo nero diventa metafora della condizione palestinese. Elia Suleiman viene poi premiato a Cannes nel 2019 per It Must Be Heaven, in cui si filma mentre viaggia in Occidente, da Parigi a New York, esplorando stereotipi e percezioni globali sulla Palestina. 


In foto una scena del film Wedding in Galilee.
WEDDING IN GALILEE

È una lunga storia, di film spesso premiati ma ancora più spesso dimenticati. Come Wedding in Galilee di Michel Khleifi, del 1987, premiato a Cannes col Prix de la Critique, che racconta un matrimonio in un villaggio palestinese sotto occupazione israeliana, autorizzato solo in presenza del governatore militare. 


In foto una scena del film Tale of the Three Jewels.
TALE OF THE THREE JEWELS

È del 1995 il primo lungometraggio girato interamente nella Striscia di Gaza, Tale of the Three Jewels, diretto dallo stesso autore di Wedding in Galilee, Michel Khleifi. Segue un bambino che sogna di viaggiare fino in Sud America per trovare tre gemme magiche. Non sono molti i film girati a Gaza, anche prima la città diventasse un cumulo di macerie. Uno dei pochi è Habibi di Susan Youssef che nel 2011 racconta una storia d’amore proibito a Gaza, ispirandosi a un poema classico arabo. 


In foto una scena del film Children of Shatila.
CHILDREN OF SHATILA

Mai Masri documenta, nel 1998, la vita degli orfani palestinesi nei campi profughi libanesi in Children of Shatila, raccontandola attraverso gli occhi di due bambini sopravvissuti. E in 3000 Nights, del 2015, racconta la vita di una insegnante palestinese incinta in un carcere israeliano. 


In foto una scena del film Kedma di Amos Gitai.
AMOS GITAI

E poi c’è il cinema realizzato da registi israeliani che spesso riflettono sulla guerra, opponendovisi. Come Amos Gitai, forse il più conosciuto regista israeliano, che in Kippur nel 2000 racconta la propria esperienza durante la guerra del Kippur, e mette in scena il conflitto visto attraverso il lavoro di una squadra di soccorso medica. Il tema centrale è la disillusione rispetto alla gloria militare, Gitai smonta il mito della guerra giusta e mostra la guerra come un trauma collettivo. In Kedma, del 2002, Gitai racconta la nascita dello Stato di Israele, e non nasconde che la conquista della terra promessa si costruisce sul dolore degli arabi autoctoni. In Rabin, the Last Day del 2015 Gitai indaga l’assassinio del premier israeliano Itzhak Rabin, mettendo insieme interviste e materiali d’archivio, per mostrare come la frattura sociale in Israele abbia compromesso il processo di pace. 


In foto una scena del film Valzer con Bashir.
VALZER CON BASHIR

È un bellissimo e straziante film di animazione Valzer con Bashir di Ari Folman, in cui il regista mette in scena se stesso – in forma di avatar animato – in una ricerca della memoria perduta sui fatti del 1982, inclusa la strage di Sabra e Shatila. Rappresenta il trauma e l’amnesia, la colpa individuale e collettiva, la rimozione psicologica. Israele come corpo sociale che ha rimosso le sue colpe. Candidato agli Oscar 2009 come miglior film in lingua straniera, Valzer con Bashir è disponibile su Apple tv+.  


In foto una scena di Lebanon.
LEBANON

Vince il Leone d’oro a Venezia nel 2009 Lebanon di Samuel Maoz, ambientato quasi tutto all’interno di un carro armato durante la guerra del 1982. La guerra raccontata come esperienza disumanizzante, con un gruppo di soldati chiusi dentro il tank e le inquadrature tutte dall’interno, con gli esterni visualizzati solo attraverso un piccolo vetro. Anche questo film demolisce la retorica degli eroi della guerra, e mostra soldati disorientati e spauriti. 


In foto una scena del film Jenin, Jenin.
JENIN, JENIN

Uno dei casi più celebri di cinema israeliano autocritico è poi quello di Jenin, Jenin di Mohammad Bakri, del 2002. Un documentario in cui l’autore raccoglie testimonianze di civili palestinesi, dopo l’incursione dell’esercito israeliano a Jenin. Il film è stato proibito e censurato per anni in Israele. È disponibile su YouTube, con sottotitoli in inglese. 


In foto una scena del film La vita secondo Agfa
LA VITA SECONDO AGFA

Nel 1992 Assi Dayan, figlio di Moshe Dayan, il ministro della Difesa israeliano negli anni ’70, famoso per la benda sull’occhio, stupisce molti con La vita secondo Agfa, film ambientato in un bar di Tel Aviv, sulle tensioni etniche e sociali in Israele. Una critica amara e cupa del suo paese, nel quale convivono ebrei ashkenaziti e arabi israeliani. Racconta una storia ‘amore fra una israeliana ebrea e un meccanico palestinese Jaffa di Keren Yedaya, del 2009; l’omicidio del fratello della ragazza rende impossibile la relazione, e scatena l’odio latente. Il film è disponibile su Mubi. 


In foto una scena del film No Other Land.
NO OTHER LAND

Scritto e prodotto da un collettivo israelo/palestinese è No Other Land, premiato con l’Oscar al miglior documentario nella cerimonia degli Oscar 2025. Il film documenta gli sforzi di un gruppo di attivisti palestinesi di opporsi alla distruzione del loro villaggio da parte dell’Idf, per costruirci una zona di addestramento militare. 

Nel ricevere il premio per il miglior documentario vinto a Berlino, il coregista israeliano Yuval Abraham ha dichiarato: “Io e Basel Adra, co-regista del documentario, abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo uguali. Io sono sottoposto al diritto civile, Basel al diritto militare. Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io posso votare e Basel no. Io sono libero di andare dove voglio, Basel come milioni di palestinesi è rinchiuso nella Cisgiordania occupata. Questa situazione di apartheid tra di noi, questa disuguaglianza, deve finire”. 
Lo stesso Basel Adra ha poi proseguito dicendo: “La mia comunità, la mia famiglia hanno filmato la cancellazione della nostra società per mano di questa occupazione brutale. Sono qui che celebro questo premio, ma mi è molto difficile mentre decine di migliaia di persone vengono trucidate e massacrate da Israele a Gaza. Chiedo soltanto una cosa: alla Germania, visto che mi trovo qui a Berlino, di rispettare la volontà dell'ONU e smettere di mandare armi ad Israele”.

In quella occasione, il discorso è stato accusato di antisemitismo, il ministro della cultura tedesco Claudia Roth ha criticato come “inaccettabile” la mancata menzione degli attacchi del 7 ottobre 2023. E anche il condirettore artistico del festival Carlo Chatrian, insieme alla olandese Mariette Rissenbeek, ha preso le distanze dai commenti dei registi. 
Uno dei giornalisti palestinesi che hanno contribuito alla realizzazione del documentario, Awdah Hathaleen, è stato ucciso lo scorso luglio da un colono israeliano, Yinon Levi. In un video si vede il colono mentre spara con una pistola contro i residenti del villaggio di Umm al Khair. Hathaleen, che si trovava lontano dallo scontro, è stato colpito da un proiettile. Dall’ottobre 2023 si stima che almeno 1.000 palestinesi siano stati uccisi in Cisgiordania.  


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