Coralie Fargeat si rifà in modo esplicito all’horror mutazionale che aveva dato vita al tripudio visionario del cosiddetto body horror. Al cinema.
di Rudy Salvagnini
L’ossessione per la giovinezza perduta, l’incapacità (o anche, se si vuole continuare a fare il proprio lavoro, l’impossibilità) di accettare la vecchiaia e il decadimento del corpo, più ancora che la mera ossessione per il successo, sono temi ricorrenti nel cinema e nella letteratura. Nel caso di The Substance, il nuovo film di Coralie Fargeat, queste tematiche vengono fuse con l’ancor più classica tematica dello sdoppiamento, accorpando una dicotomia molto classica alla Jekyll/Hyde con echi nemmeno tanto nascosti dal Dorian Gray di Oscar Wilde per creare un insieme accattivante e moderatamente trasgressivo che - tra citazioni numerose anche tematicamente ultronee - si rifa in modo esplicito all’horror mutazionale che negli anni ’80, in particolare (ma anche prima e dopo, naturalmente), aveva dato vita al tripudio visionario del cosiddetto body horror che traeva in genere vantaggio visivamente dall’abilità di effettisti ed esperti del trucco capaci di plasmare e modificare la carne umana in versioni grottesche e talvolta selvaggiamente ripugnanti. Quando si parla di body horror, naturalmente, il primo nome che viene in mente è quello di David Cronenberg che ne è stato probabilmente il profeta, se non l’iniziatore. Ma vengono in mente anche le fantasmagoriche mutazioni e fusioni realizzate, per fare solo un esempio, da Shinya Tsukamoto nella sua significativa e influente filmografia.
Ma in The Substance, Coralie Fargeat tende a plasmare i corpi in modo, se vogliamo, lineare senza cercare assemblaggi che prevedano materiali diversi dalla carne umana, partendo dalla ricerca della perfezione giovanile, cui si contrappone la corruzione e la decadenza sempre più marcata della vecchiaia, per arrivare a un bizzarro e mostruoso insieme che unisce nuovo e vecchio in una metamorfosi instabile e gorgogliante che richiama, nelle forme e anche nel tipo di effetto speciale adottato, il magma mutageno che arricchiva e rendeva sublime nelle forme un film a suo modo fondamentale come Society di Brian Yuzna.
Coralie Fargeat è regista attenta, abile e capace di revisionare e utilizzare in modo inventivo materiali di riporto, come ha dimostrato con il classico rape e revenge nel riuscito e incisivo Revenge. Anche in questo caso, la storia in sé è semplice e non presenta svolte propriamente narrative di grande novità, ma il ritmo e la tenuta drammatica del racconto sono efficaci e seguono in modo credibile le preoccupazioni della protagonista e le ambizioni del suo giovane alter ego, mettendo in scena un dualismo nel quale gioventù e vecchiaia, ascesa e caduta, fioritura e decadenza, sono aspetti inevitabili della medesima realtà.
Come già in Revenge, dopo aver presentato con cura e attenzione personaggi e situazioni, Coralie Fargeat spinge il pedale sull’acceleratore e parte a mille in una rutilante sagra di effetti speciali che, se nel precedente film andavano pesantemente sul versante della violenza realistica, qui preferiscono dipingere un quadro surreale e deformante che, almeno apparentemente, sembra aver impattato sulla sensibilità di alcuni spettatori. Niente che in ambito horror non si sia in realtà già visto e rivisto, ma questo è probabilmente uno di quei film horror che attira anche un pubblico generalista forse poco avvezzo a certe tipologie di trucchi ed effetti speciali.
Quello che più conta però, ai fini della valutazione sulla riuscita del film, è la sua capacità di raccontare in modo convincente una classica parabola sulla caducità della vita umana e sull’imperituro desiderio di trascendere questo terribile senso di perdita e di finitezza attraverso soluzioni facili e magico-scientifiche come pozioni, sieri miracolosi o, appunto, “sostanze”. Coralie Fargeat ci riesce - tenendo spesso a mente i toni ironici e satirici di un precedente illustre come La morte ti fa bella - anche per l’accortezza di affidare il ruolo della protagonista a una bravissima Demi Moore che, simbolo in passato di quella perfezione fisica cui anela tuttora il suo personaggio, è molto credibile ed efficace nella parte di chi sente lo sfiorire della sua giovinezza, ne subisce gli effetti in una società che idolatra l’efficienza fisica ed esteriore e cerca di combattere, senza riuscire ad accettare l’ineluttabile trascorrere del tempo con quel che ne consegue.
In questo, naturalmente, non va trascurato come sia soprattutto l’universo femminile, per il tipo di società in cui ci troviamo, a patire i contraccolpi dell’invecchiamento, dato che invece i maschi - come dimostra il produttore interpretato con gusto e sopra qualsiasi riga da Dennis Quaid — possono mantenere il proprio ruolo e il proprio potere pur essendo del tutto ripugnanti.