Film politico, colpo di mano femminista, mostruoso, caustico, è uno dei migliori body horror degli ultimi trent’anni. Al cinema.
di Marzia Gandolfi
"Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?"
Di fronte al suo riflesso stropicciato dagli anni, Elisabeth Sparkle, un’imperiosa Demi Moore, attende disperatamente una lusinga che non arriverà mai. Ex star di Hollywood, riconvertita in conduttrice di un programma di aerobica, viene licenziata in tronco per ‘raggiunti limiti di età’. Il suo lato B non vale più la visione e centinai di glutei sodi fanno già la fila per rimpiazzarlo. Improvvisamente invisibile e fuori dai giochi, Elisabeth firma un patto col diavolo, che le offre una soluzione miracolosa: oltre il botox, oltre il classicismo di Eva contro Eva, oltre la colonizzazione della carne di La mosca. Coralie Fargeat infiltra l’immaginario glamour di Hollywood e approccia con lucida follia il mito dell’eterna giovinezza venduto a profusione dall’industria dello spettacolo. E nella corsa alla giovinezza, le donne sono eterne perdenti. Coralie Fargeat non teorizza l’annientamento prodotto dall’invecchiamento ma lo lavora, lo modella come argilla in un film organico di immagini materiche, di ferite aperte, di cicatrici, di escrescenze purulente. Il masochismo e l’automutilazione, a cui le donne sono implicitamente incoraggiate dalla dittatura della bellezza, si traducono in una violenza latente, poi in una tracimazione gore fino alla necrosi e alla putrefazione della carne.
Sotto quest’orgia di stile, che mescola l’estetica pop fluorescente a un dolore fisico più intenso che altrove, The Substance è un mattatoio esilarante e furioso, senza complessi o esclusione di colpi, che investe a fondo lo sguardo maschile, esagerandolo per minarlo meglio dall’interno. Dalla pelle di gomma di Elisabeth, che si spoglia letteralmente dello strato epidermico come in una muta, sorgono vischiose e toniche le natiche di Sue (Margaret Qualley è il ‘doppio’ giovane e performante di Elisabeth), bomba atomica che gode del suo sex-appeal. Celebrate senza moderazione in contre-plongée, avviliscono ‘pienamente’ la nudità scarnificata di Elisabeth (la matrice originale). Raramente il cinema ci ha costretti a guardare con tanta crudeltà i corpi ‘mutanti’ delle sue attrici, che succhia fino all’osso prima di gettarli nell’oblio. Rivoluzionaria di cuore e tagliatrice di teste, Fargeat punta il dito (medio) contro gli uomini e la società dei consumi con un’unica richiesta: la fine immediata dell’idolatria del giovanilismo e delle donne-oggetto. Membro del collettivo del 50/50, l’autrice porta sangue e sudore al suo mulino. Mulino che macina tutto e tutti, nessuno si senta escluso mentre il film assembra la carne livida delle sue eroine in un’ultima figura mostruosa e lynchiana. Un magma informe che sottolinea la natura gemellare delle sue star, rivali in due età diverse della loro vita e intrecciate adesso nella morte.
The Substance farà impazzire il pubblico, film politico, colpo di mano femminista, mostruoso, caustico, degenerante e rigenerante, è senza dubbio uno dei migliori body horror degli ultimi trent’anni. Tra azione orrorifica e magniloquenza, emoglobina e misandria sistematica, lo spettatore sale sulle montagne russe con euforia e terrore. Fargeat tratta l’horror e la commedia con lo stesso senso del grottesco. Tutto è bello, giovane e perfetto in questo paradiso hollywoodiano. Ma tutto così artificiosamente abbagliante da risultare inquietante. Di fatto dietro la leggerezza assunta dalla messa in scena qualcosa di molto feroce ribolle. La regista francese cavalca di nuovo l’esaltazione della bellezza del corpo femminile e la grossolana stupidità del comportamento maschile, osservando da (molto) vicino una donna schiava della sua immagine e un produttore ignobile (Dennis Quaid, Harvey nel film...). Negli ultimi anni: “diventare la versione migliore di noi stessi” è il tormentone dei coach di “crescita personale”. Coralie Fargeat prende alla lettera questa ingiunzione, che vuole controllare tutto dell’umano, compreso il suo lato oscuro, e ne fa la base del suo racconto allegorico. Ed è esaltante vederla concepire questa sorta di idra a due corpi, simbolo delle società occidentali alienate, per silurarla al cuore. Sotto la patina di un lussuoso B-movie cova una riflessione pertinente sulle nostre fratture interiori, sulla dittatura del giovanilismo e sullo stramaledetto culto dell’immagine di sé, che finisce per pietrificarci, come Medusa.
Demi Moore, fidanzatina d’America che realizzava vasi con un fantasma (Ghost), guadagnandosi negli anni Novanta i gradi di star, fa un ritorno solido e gore con The Substance, interpretando senza filtri quella misoginia interiorizzata che si impone insidiosa nelle donne a forza di diktat sociali predicati per secoli da uomini, ominicchi e quaquaraquà. La sequenza dell’appuntamento mancato di Elisabeth, inchiodata da sola allo specchio, vale più di mille manifestazioni e parole. Sovente svuotate o troppo sature.
Diretto con esuberanza ed energia vendicativa, The Substance pesca la sua protagonista nell’industria dell’intrattenimento, chi meglio di un’attrice che deve confrontarsi (e comporre) costantemente con lo sguardo degli altri e con un ambiente decisionale ancora dominato dagli uomini (direttori di studio, produttori, registi). Hollywood diventa la logica tela di fondo di una favola massimalista, l’attrice, davanti alla macchina da presa, sotto i riflettori e con troppi occhi puntati addosso, la sua eroina. Un’eroina convinta che il proprio valore risieda negli occhi degli altri, una diva che pensa di non essere più non appena gli sguardi si allontanano. Si spiega (anche) così la scelta di Demi Moore, investita e perfettamente calata nel ruolo grazie al suo specifico immaginario cinematografico. Si spiega solo così la violenza che si fa, letteralmente, la sua protagonista. L’attrice, che ha ripreso il controllo della sua esistenza dopo che Hollywood si mise a questionare i suoi anni e la sua adeguatezza, ha maturato l’esperienza per abbandonarsi alla perdita di controllo del suo personaggio.
La violenza misogina, quella fisica (Revenge) e quella psicologica (The Substance), è sempre al cuore del lavoro di Fargeat che sovverte i codici (e i cliché) dell’horror: in Revenge confinava l’abuso nel fuori campo invece di mostrarlo con compiacimento e trasformava l’inevitabile scena di nudo gratuito nella doccia, tanto cara al genere, in un momento di oggettivazione del corpo maschile in luogo di quello femminile. The Substance ripropone un’eroina che ‘muta’, abbandonando la sua vecchia pelle per assumerne una nuova. Una donna che sviluppa un nuovo modo di abitare il proprio corpo in un contesto (quasi) fantasmagorico. Nei due casi, si tratta di un’eroina che deve liberarsi dello sguardo degli uomini e che deraglia dagli schemi. Se nella prima parte del film Elisabeth si comporta come ci si aspetta da una donna, fissandosi fino all’ossessione sul suo aspetto, nel brutale regolamento di conti finale, riprende un ‘mostruoso’ controllo di sé. Finalmente libera e liberata dall’ingiunzione di essere perfetta, si guarda per la prima volta allo specchio con indulgenza, con dolcezza. Non serve più che il “servo delle sue brame” risponda. Adesso conosce la risposta.