
Haugerud ha modelli precisi: Woody Allen, soprattutto, ma anche il cinema indie americano, con Oslo che prende il posto di New York. Da domani al cinema.
di Roberto Manassero
Nella trilogia del regista norvegese Dag Johan Haugerud, il film Sex viene per primo, in apertura della serie formata anche dai successivi Dreams e Love. O almeno questo è l’ordine che compare nei titoli d’apertura di tutti i film, anche se la sequenza cronologica con cui sono stati presentati nei festival, dalla Berlinale del 2024 a Venezia dello stesso e poi alla Berlinale di quest’anno, ha visto prima Sex, poi Love e infine Dreams (quest’ultimo poi premiato con l’Orso d’oro pochi mesi). Quella di Haugerud, insomma, è un’opera unica, da considerare nel suo complesso, e ha avuto dunque ragione la distribuzione italiana (Wanted) a presentarli al contrario, chiudendo ora con Sex. In fondo, il film, introducendo la trilogia ne anticipa e al tempo stesso ne riassume temi e atmosfere: dall’attenzione alla vita sessuale, emotiva e sentimentale di alcuni personaggi legati da rapporti di parentela, lavoro, amore, desiderio, alla centralità della città Oslo, vera protagonista di tutte le vicende. I protagonisti di Sex sono due spazzacamini entrambi sposati e con figli, che in una pausa dal lavoro si confidano reciprocamente un segreto: il primo un sogno ricorrente in cui ha la sensazione chiarissima di essere una donna e il secondo un’occasionale avventura sessuale con un uomo, che ha immediatamente confessato alla moglie convinto non si trattasse di un tradimento, scatenando così una reazione tanto naturale quanto (per lui) inaspettata.
Fin dalla prima sequenza, Sex fa capire di essere un film soprattutto di parola, in cui di sesso si parla solo dopo averlo fatto, e che attraverso articolate discussioni fra i personaggi – le rispettive mogli dei protagonisti, ma anche il figlio del primo e una dottoressa – sviscera la natura del desiderio, le relazioni uomo-donna, il piacere fisico del sesso e le sue ripercussioni sul piano morale, le responsabilità etiche e morali di ogni azione e decisione. Spiegando il suo progetto, Haugerud ha dichiarato di aver inizialmente pensato di realizzare un cortometraggio sul sesso (a partire proprio dall’idea che al sesso si pensa di continuo, ma se ne parla pochissimo) e di aver poi deciso di allargare il discorso a più personaggi e più temi per comporre il grande ritratto di una città, Oslo per l’appunto. Non è casuale, del resto, per quanto un po’ inusuale, che i protagonisti siano degli spazzacamini, cioè persone che entrano nelle case degli altri, che condividono spazi che non appartengono loro, che puliscono l’aria della città e dunque se ne prendono cura… Da questa immagine simbolica deriva il senso del film, che coglie il respiro di un mondo, le sue contraddizioni, le sue complessità e osserva senza pregiudizi due famiglie confrontarsi con i propri limiti.
Scrittore raffinato e regista dalla messinscena precisa, Haugerud ha modelli precisi: Woody Allen, soprattutto, ma anche il cinema indie americano, con Oslo (e soprattutto, i tetti di Oslo) che prende il posto di New York e la parola che dà forma ai pensieri e alle idee e trasforma una crisi coniugale e i dubbi di un uomo sul proprio inconscio in una riflessione universale su cos’è il piacere, e la responsabilità verso gli altri.