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ivan il matto
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lunedì 28 luglio 2025
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fra la via emilia e il (mid) west
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A 86 anni suonati Pupi Avati si permette un horror di categoria 'lusso' da far arrossire Robert Eggers ed il suo ultimo Nosferatu. Fra la via Emilia e il (mid) west, per citare un Guccini d'annata, una vicenda assolutamente visionaria tratta da un suo romanzo, ben scritta, impaginata e fotografata con un B/N da far invidia a Carl Theodor Dreyer. Memore della lezione di Hitchcock il regista bolognese non si concede una sbavatura nel senso dello splatter, rimanendo misurato e linerare nella narrazione, pur nella scabrosità dell'argomento trattato. Come quasi sempre nelle sue pellicole fra gli attori compare sempre qualche figura emarginata o diemnticata del cinema di una volta.
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A 86 anni suonati Pupi Avati si permette un horror di categoria 'lusso' da far arrossire Robert Eggers ed il suo ultimo Nosferatu. Fra la via Emilia e il (mid) west, per citare un Guccini d'annata, una vicenda assolutamente visionaria tratta da un suo romanzo, ben scritta, impaginata e fotografata con un B/N da far invidia a Carl Theodor Dreyer. Memore della lezione di Hitchcock il regista bolognese non si concede una sbavatura nel senso dello splatter, rimanendo misurato e linerare nella narrazione, pur nella scabrosità dell'argomento trattato. Come quasi sempre nelle sue pellicole fra gli attori compare sempre qualche figura emarginata o diemnticata del cinema di una volta...magari improbabili ma sempre ottimamente in parte, benchè anche in ruoli secondari. Ricordate Carlo delle Piane, Katia Ricciarelli o Renato Pozzetto? Stavolta tocca a Chiara Caselli, Andrea Roncato, Roberto de Francesco, Claudio Botosso...ed infine anche Cesare Cremonini. Non vi resta che correre al cinema a vedre l'Avati migliore (insieme al "Dante" di qualche tempo fa) degli ultimi anni
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nino pellino
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domenica 23 marzo 2025
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pupi avati questa volta non mi colpisce nel finale
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Ogni volta che Pupi Avati decide di dirigere un thriller-horror, il suo operato è sempre una garanzia di qualità e di interesse per lo spettatore appassionato a questo tipo di genere cinematografico. E anche questa volta, in occasione del film "L'orto americano", il regista emiliano sembra non smentire la sua bravura. La trama è ambientata nell'immediato secondo dopoguerra e il protagonista è un giovane sognatore dalle tendenze visionarie di nome Lui che, durante una giornata trascorsa a Bologna nel locale del proprio barbiere intento a farsi tagliare i capelli, incrocia con lo sguardo una giovane donna dell'esercito americano che entra per un istante nel negozio per chiedere un'informazione.
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Ogni volta che Pupi Avati decide di dirigere un thriller-horror, il suo operato è sempre una garanzia di qualità e di interesse per lo spettatore appassionato a questo tipo di genere cinematografico. E anche questa volta, in occasione del film "L'orto americano", il regista emiliano sembra non smentire la sua bravura. La trama è ambientata nell'immediato secondo dopoguerra e il protagonista è un giovane sognatore dalle tendenze visionarie di nome Lui che, durante una giornata trascorsa a Bologna nel locale del proprio barbiere intento a farsi tagliare i capelli, incrocia con lo sguardo una giovane donna dell'esercito americano che entra per un istante nel negozio per chiedere un'informazione. Lui che conosce l'inglese, le fornisce le notizie di cui lei ha bisogno ed è da tale incontro, durato appena pochi minuti, che Lui viene perdutamente rapito dalla bellezza di costei fino a suscitarne un morboso amore platonico. L'intento del giovane sarà quello di mettersi pertanto sulle tracce della donna tentandone una ricerca affannosa che lo porterà in Italia dove scoprirà delle macabre verità sulla scomparsa eventuale della ragazza, il cui nome è Barbara, e di altre sventurate donne che si presume siano state brutalmente assassinate dalle parti di Ferrara da un maniaco omicida. L'originalità e la particolarità di Pupi Avati in questo film sta nell'aver saputo tessere da una scena iniziale di tipo cauale, tutta una serie di avvenimenti e situazioni che sfoceranno in delle crude verità. Questa volta però l'effetto sorpresa delle scene finali, che tanto mi aveva rapito in altri suoi celebri film di questo genere e mi riferisco a pellicole come "La casa dalle finestre che ridono" o in tempi più recenti "Il signor diavolo", non sono riuscito a percepirlo dal momento in cui il mistero e la verità sugli avvenimenti di cronaca che caratterizzano la trama vengono intuitivamente svelati allo spettatore già circa venti minuti prima che arrivi il finale. Ciò che accomuna questo lavoro del regista con i due precedenti film citati è sicuramente lo sguardo che viene incrociato tra il protagonista (che ancora una volta ci appare come uno sconfitto) e l'omicida o comunque colui che inpersonifica la controparte non buona della situazione. Ma stavolta l'effetto mi è apparso smorzato da qualche lungaggine di troppo (il fatto che Lui verrà provvisoriamente rinchiuso in un maniconio) e, come ho detto prima, dalla verità che sale a galla già con anticipo. Nell'insieme però ho trovato sicuramente la regia di una bellezza ineccepibile (per carità, Pupi Avati è pur sempre un grande) e anche l'uso del bianco e nero riesce a donare al film la giusta atmosfera e l'adeguata impressionabilità a tutto il contesto.
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