L'isola degli idealisti dove approdano moralità e giustizia
di Natalia Aspesi La Repubblica
L'isola degli idealisti, forse, fu scritto all'hotel Toledo a Iseo, e il manoscritto, conservato in un archivio privato, permise ai parenti di farne un copia: era tra il 1942 e il 1943, tempo orribile della Seconda guerra mondiale, quando Giorgio Scerbanenco raggiunse la Svizzera e là si rifugiò. Il libro finì perduto, fu poi ritrovato e pubblicato da La Nave di Teseo nel 2018 e Elisabetta Sgarbi ne ha fatto un lungometraggio, il primo suo vero film (in sala da ieri con Fandango), dopo decine di documentari di cui qualcuno molto bello. Con la sua Nave, che ha fondato dopo aver lasciato Bompiani, pubblica una gran quantità di libri, vecchi e nuovi: e del suo amato Scerbanenco, facendone il nostro Simenon, almeno 24. Da quando L'isola degli idealisti è stato pubblicato, Elisabetta Sgarbi ha capito che poteva essere il suo primo film con una storia, dove esiste una morale o una immoralità, ma dove tutto accade perché così deve essere. Così Scerbanenco si inventò L'isola e lo si capisce dal modo un po' sbandato in cui mette insieme, lui venuto dall'Ucraina, da Kiev, la sua storia.
Sull'isola delle Ginestre vive la famiglia Reffi, di antica eleganza, strana e quasi isolata, come se contenesse un mistero suo. Una sera all'improvviso due giovani, che in realtà sono ladruncoli a caccia di gioielli, vengono sorpresi sull'isola e portati nella grande casa.
«Con Eugenio Lio dovevamo ricostruirla - racconta Elisabetta Sgarbi - e avevamo un cifra precisa: due milioni per tutto il film. Avevo già spostato la storia negli anni '70, e ho usato alcune opere della fondazione Cavallini-Sgarbi, da Adolfo Wildt a Enrico Baj, da Apollodoro di Porcia a Cagnaccio di San Pietro». Elisabetta ha poi impiegato sei anni a fare del suo desiderio il suo primo film con una vera storia. «In quel periodo Scerbanenco era ossessionato da una sua idea di giustizia: puoi sottrarti alle sue richieste o invece ne sei prigioniero? Alla fine questa domanda avrà la sua risposta».
I due ladri sono Beatrice (Elena Radonicich), bella, bionda, giustamente spettinata, e Guido (Renato De Simone), ingiustamente spettinato. La vita in quella casa bella tiene conto della raffinatezza dei suoi personaggi, che scendono sempre le scale, ogni volta, come a presentarsi. Tommaso Ragno, che abbiamo conosciuto nel bel Vermiglio di Maura Delpero appena premiato ai David di Donatello, è il figlio Celestino Reffi, ex medico dai bei capelli bianchi. Il padrone di casa, Antonio (Renato Carpentieri), è un ex direttore d'orchestra e forse è lui che si è ritirato dal mondo nell'isola. Mentre Celestino, chiuso nella sua solitudine, addestra Pangloss, un alano purissimo che si chiama come nel Candide di Voltaire ed è di grande ferocia, il giusto scudo per i solitari abitanti. Il cinema si è spesso ispirato a un luogo dove la gente vive isolata, e credo che Scerbanenco lo abbia fatto per rappresentare la sua solitudine in quei giorni di fuga.
Guido e la sua donna restano nella casa sino a quando lui si porta a letto la sorella di Celestino, Carla (Michela Cescon), scrittrice di successo, che di lui non si è mai fidata e continua a farlo, cercando di proteggere le cose preziose a cui tiene. Quando, poi, Guido e la sua donna saranno già su una barca, solo allora si accorgeranno che non tutto è andato secondo i piani. La morale ci dirà che è difficile trasformare la vera natura dell'essere umano. Ma la ragazza troverà il modo di aprire un nuovo capitolo della propria esistenza senza tuttavia sentire il bisogno di pentirsi del tutto del proprio passato.
Da La Repubblica, 9 maggio 2025
di Natalia Aspesi, 9 maggio 2025