jonnylogan
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domenica 12 gennaio 2025
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storia di un uomo fragile
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La pellicola diretta da Daniel Auteil, che torna dietro la macchina da presa dopo Sogno di una notte di mezza età (Amoureux de ma femme; 2018) nel quale duettava con Gérard Depardieu, affonda le proprie radici nella vicenda realmente accaduta all’avvocato Jean-Yves Moyart dando vita a un thriller compassato tanto quanto le parole e i movimenti dell’avvocato impersonato dall’attore originario di Algeri. Un uomo fermo nelle sue convinzioni e altrettanto sicuro nel volersi mettere in gioco, dopo anni trascorsi lontano dalle aule di tribunale. Dando vita a un giallo anche dell’anima e pieno di punti oscuri, sia perché l’avvocato penalista Jean Monier è eroso dai sensi di colpa maturati nel corso di un passato remoto, che racconta di un’assoluzione ottenuta per un assassino recidivo, al termine di un processo che non seppe portargli fama, ma lo stigma per aver rimesso in libertà un pluriomicida.
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La pellicola diretta da Daniel Auteil, che torna dietro la macchina da presa dopo Sogno di una notte di mezza età (Amoureux de ma femme; 2018) nel quale duettava con Gérard Depardieu, affonda le proprie radici nella vicenda realmente accaduta all’avvocato Jean-Yves Moyart dando vita a un thriller compassato tanto quanto le parole e i movimenti dell’avvocato impersonato dall’attore originario di Algeri. Un uomo fermo nelle sue convinzioni e altrettanto sicuro nel volersi mettere in gioco, dopo anni trascorsi lontano dalle aule di tribunale. Dando vita a un giallo anche dell’anima e pieno di punti oscuri, sia perché l’avvocato penalista Jean Monier è eroso dai sensi di colpa maturati nel corso di un passato remoto, che racconta di un’assoluzione ottenuta per un assassino recidivo, al termine di un processo che non seppe portargli fama, ma lo stigma per aver rimesso in libertà un pluriomicida. Sia perché la calma serafica di Nicolas Milik: possibile uxoricida, dai modi compassati e dall’assenza di comportamenti violenti, agli occhi di Jean lo fanno sembrare innocente a causa di prove quasi del tutto assenti.
Ed è quindi nell’esplorazione di un caso così controverso e mediaticamente divisivo. Nella nuova presa di fiducia di Monier e del suo ritorno in aula. Del legame famigliare che lo unisce alla moglie avvocato (Sidse Babett Knudsen), pronta a incoraggiarlo a tornare a cimentarsi in quello che meglio sa fare. E per via del legame instaurato con il suo cliente, impersonato dal quarantottenne caratterista Grégory Gadebois. E l’ostracismo che si attirerà per l’errore passato e non ancora emendabile, che il film riesce a trarre la propria linfa vitale, aggiungendovi tempi recitativi teatrali e perfettamente scanditi in particolare dai due protagonisti; avvocato difensore e imputato.
Presentato alla 77°edizione del Festival di Cannes la pellicola di Auteil è un inno ai legal – thriller d’oltre oceano, ma calati nella realtà del vecchio continente. E film che merita di essere visto anche per certificare lo stesso Auteil come autore, e non solo interprete, molto abile nel destreggiarsi nell’uso del mezzo cinematografico.
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kostanzo
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lunedì 7 ottobre 2024
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per i diritti, contro il giustizialismo
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Non era intenzione - presumo di Daniel Auteil, regista-protagonista - ma è un film da raccomandare a giustizialisti, a chi è nega i diritti dell'imputato e magari a certi giudici giudicanti.
Non è questione di misurare il dubbio , come suona il titolo italiano oscuro e ingannevole. Il titolo originale, Le Fil, ovvero il filo, è molto più aderente alla... trama. L'unica prova dell'accusa forcaiola,infatti, è proprio appesa a un filo rimasto intrappolato nell'unghia del (presunto) assassino. Che poi l'assassino sia proprio lui, è un altro discorso. Ma prove reali e logiche, per condannarlo, non ce ne sono. Anzi.
E il fatto scandaloso è che 20 anni di carcere siano inflitti da un'imposizione del presidente della corte.
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Non era intenzione - presumo di Daniel Auteil, regista-protagonista - ma è un film da raccomandare a giustizialisti, a chi è nega i diritti dell'imputato e magari a certi giudici giudicanti.
Non è questione di misurare il dubbio , come suona il titolo italiano oscuro e ingannevole. Il titolo originale, Le Fil, ovvero il filo, è molto più aderente alla... trama. L'unica prova dell'accusa forcaiola,infatti, è proprio appesa a un filo rimasto intrappolato nell'unghia del (presunto) assassino. Che poi l'assassino sia proprio lui, è un altro discorso. Ma prove reali e logiche, per condannarlo, non ce ne sono. Anzi.
E il fatto scandaloso è che 20 anni di carcere siano inflitti da un'imposizione del presidente della corte.
Si dirà: ma un avvocato deve difendere un omicida? Deve prendere a tal punto a cuore la sorte e la persona accusata da non coglierne gli elementi di incertezza o di colpevolezza? E il difensore deve sentirsi <colpevole> una volta scoperta la verità?
Dubbi mal posti e infondati. Il criminale, o chi è accusato di crimini anche nefandi, non ha il diritto di essere difeso? Oppure, come dichiara l'avvocatessa che cerca di salvare i Monsters (su Netflix) solo gli innocenti meritano un legale, possibilmente bravo e potente? Il dubbio , secondo me, è un altro: ma gli inquirenti (Pm, polizia giudiziaria) sanno fare il loro lavoro? Se non si è in grado di presentare prove inoppugnabili, perchè poi ci si stupisce e si grida allo scandalo se chi esce illeso dalle aule del tribunale riprende a delinquere. In dubio pro reo, si dice. E non un caso se da anni esiste un quotidiano di politica giudiziari che si chiama Il dubbio. Per i diritti e contro i facili giustizialismi.
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martedì 1 ottobre 2024
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ciò che resta dell'' cinema esistenzialista
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Auteuil conosce il cinema esistenzialista di Resnais, Antonioni e altri e ce ne restituisce alcuni tratti in chiave più moderna, per esempio il percorso che ha valore indipendentemente dal raggiungimento della meta (il sentiero heideggeriano), il calarsi in una situazione (esserci) e il dare valore alle relazioni, oggi definito empatia. Belle anche il "guardare fuori", il cielo sopra il tribunale, gli scorci di Camargue.
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cardclau
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martedì 24 settembre 2024
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la ricerca della verità
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Il grande Daniel Auteuil è il regista del film La misura del dubbio, ma anche l’attore principale dello stesso nei panni di un avvocato (Jean Monier) che, più che della mera difesa dell’imputato (innocente o colpevole) e conseguente retribuzione, è interessato, direi ammaliato, da quella entità sfuggente, spesso difficilmente definibile, in mancanza di una chiara confessione, che è la verità. E alla motivazione che ne sostiene l’innocenza o la colpevolezza. Quello che mi piace, di Daniel Auteuil, è che assieme alla bravura professionale unisce quel piacere di farlo che si avverte, si tocca, e che trova conferma nel film dove ha dei comportamenti anche fuori dai cliché che ci si aspetta.
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Il grande Daniel Auteuil è il regista del film La misura del dubbio, ma anche l’attore principale dello stesso nei panni di un avvocato (Jean Monier) che, più che della mera difesa dell’imputato (innocente o colpevole) e conseguente retribuzione, è interessato, direi ammaliato, da quella entità sfuggente, spesso difficilmente definibile, in mancanza di una chiara confessione, che è la verità. E alla motivazione che ne sostiene l’innocenza o la colpevolezza. Quello che mi piace, di Daniel Auteuil, è che assieme alla bravura professionale unisce quel piacere di farlo che si avverte, si tocca, e che trova conferma nel film dove ha dei comportamenti anche fuori dai cliché che ci si aspetta. Inoltre impariamo non solo che nel giudizio di innocenza o colpevolezza pesa quanto si è un arrabbiati con sé stessi, che innesca il meccanismo di difesa di proiezione su qualcun altro, da punire. Ma anche che cogliere un grave problema del comportamento altrui, non essere ciechi, richiede necessariamente una consapevolezza e una assenza di paura dello stesso.
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athos
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lunedì 23 settembre 2024
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finale inquietante
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Daniel Auteuil in una recente intervista ha detto di essere un attore passabile. No, è un grande attore e il meglio di se lo da nei silenzi e nei gesti quotidiani. Qui lo troviamo nei panni di un avvocato che crede fermamente nell'innocenza del suo cliente. Finale inquietante, perchè il dubbio è difficile da decifrare e la misura in tutta le cose è sempre complicata da cogliere. Film esemplare e attuale.
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maurovalle
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lunedì 23 settembre 2024
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non puoi essere mai sicuro della verita''
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Bel film, si segue con piacere. Ha un finale sorprendente perchè malgrado gli indizzi accusatori siano inconsistenti e il movente poco chiaro l'imputato al termine del processo appare innoccente agli occhi del pubblico di sala ma anche dei giurati ma viene ugualmente condannato. La morale è quella di una giustizia umana fallace? Qualche aspetto della vicenda al termine della proiezione lascia degli interrogativi. Perchè il giudice togato malgrado il giudizio popolare lo fà condannare? Perchè uno dei testimoni afferma di avere visto due persone trascinare il corpo nel bagagliaio di una macchina confermando la complicità di un amico dell'accusato che poi non aveva partecipato all'omicidio?
Anche la morale resta dubbia.
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enzo70
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lunedì 23 settembre 2024
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auteuil mette in scena la fragilità delle certezze
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Daniel Auteuil interpreta la parte dell’avvocato Jean Monier, un uomo ormai stanco di combattere nelle aule di Tribunale avendo perso fiducia nella giustizia. Una sera durante una cena la sua compagna, anche lei avvocato, viene convocata dalla gendarmeria per la difesa d’ufficio di Nicolas, un uomo accusato dell’omicidio della moglie. È tardi, la donna è stanca, Jean si offre di sostituire la compagna per il primo colloquio ma il racconto dell’uomo lo induce ad assumere personalmente la difesa. Il rapporto tra il difensore e l’imputato, due uomini che perseguono lo stesso obiettivo, l’assoluzione, è il cuore del film, diretto dall’attore regista con grande intensità.
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Daniel Auteuil interpreta la parte dell’avvocato Jean Monier, un uomo ormai stanco di combattere nelle aule di Tribunale avendo perso fiducia nella giustizia. Una sera durante una cena la sua compagna, anche lei avvocato, viene convocata dalla gendarmeria per la difesa d’ufficio di Nicolas, un uomo accusato dell’omicidio della moglie. È tardi, la donna è stanca, Jean si offre di sostituire la compagna per il primo colloquio ma il racconto dell’uomo lo induce ad assumere personalmente la difesa. Il rapporto tra il difensore e l’imputato, due uomini che perseguono lo stesso obiettivo, l’assoluzione, è il cuore del film, diretto dall’attore regista con grande intensità. Un film lento, che racconta il processo con una narrazione rigorosa, con evidenti richiami alla grande tradizione del cinema d’oltralpe. Da un lato un avvocato stanco ma rigoroso nel cercare di affermare l’innocenza del proprio assistito; dall’altro un uomo all’apparenza mite che ha cresciuto i figli con la sostanziale assenza della moglie, afflitta da una grave forma di alcolismo. Da citare l’ottima interpretazione di Grégory Gadebois nella parte di Nicolas. L’unica certezza che sembra muovere la difesa processuale di Jean Monier è la certezza della piena innocenza del proprio assistito. Ma per comprendere bene l’essenziale necessità del dubbio consiglio di andare al cinema a vedere questo bel film, intenso, a tratti impegnativo, ma che merita il costo del biglietto e il tempo da dedicare alla visione.
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