Anno | 2024 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 82 minuti |
Regia di | Pierfrancesco Campanella |
Uscita | giovedì 21 novembre 2024 |
Distribuzione | Parker Film |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 20 novembre 2024
L'affettuoso omaggio ad un periodo che ha segnato la storia. In Italia al Box Office C'era una volta il Beat Italiano ha incassato 987 .
CONSIGLIATO SÌ
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Negli anni Sessanta la musica beat arriva in Italia, trascinata dalla Beatles-mania. La cosiddetta British Invasion, portata avanti dai Beatles e da altre storiche band britanniche quali Rolling Stones, Animals, Kinks, Troggs, Searchers, e preceduta poco prima dalla rivoluzione americana del rock and roll, spinge tanti giovani in Italia a formare gruppi e a suonare quella stessa musica. Proliferano così nuovi cantanti, complessi musicali, case discografiche, riviste, programmi televisivi, locali cool come il Piper dove andare a ballare. È la colonna sonora di un cambiamento sociale, culturale, sessuale: "nascono" i giovani, con le loro mode, i loro gusti, i dubbi, le debolezze, l'entusiasmo e il desiderio di libertà.
Con un taglio prettamente divulgativo, il documentario ripercorre una stagione decisiva della musica e della società italiana, tentando di restituire lo spirito di quei favolosi anni '60.
I giovani non pensano all'eternità; la possiedono. È una delle frasi pronunciate nel documentario di Pierfrancesco Campanella sulla storia del beat italiano e che meglio può descrivere l'atmosfera del periodo.
Il fuoco della Beat Generation si accende tra gli Stati Uniti e l'Inghilterra, dalla scrittura di Jack Kerouac ('beat' come abbreviazione di 'beatific', cioè 'beato') alla musica dei Beatles ('beat' come ritmo), per poi divampare nel resto del mondo. Anche in Italia il fenomeno si diffonde spontaneamente, svecchiando la tradizione canora nazionalpopolare. I pezzi beat inglesi vengono ascoltati dalle radio pirata, e chi vuol fare quella nuova musica ne realizza cover su cover, spesso senza tradurre il testo originale ma tenendo solo la melodia e cambiando le parole nella versione italiana.
Così, Adriano Celentano - che già qualche anno prima cantava "Ready Teddy" di Little Richard imitando Elvis Presley in una scena de La dolce vita (1960) - prende "Stand by Me" di Ben E. King e ne fa la sua "Pregherò"; l'Equipe 84 incide il suo successo "Io ho in mente te" partendo dal brano "You Were on My Mind" reso famoso dai We Five; Patty Pravo irrompe sulla scena con il primo singolo "Ragazzo triste", cover di "But You're Mine" di Sonny & Cher; i Dik Dik rifanno la celebre "A Whiter Shade of Pale" dei Procol Harum con "Senza Luce". Gli esempi sono innumerevoli, e con uguale frequenza fioriscono gruppi musicali dalle alterne fortune.
Un effetto importante dell'ondata beat, giustamente evidenziato da Campanella, è legato all'emancipazione femminile. "Nessuno mi può giudicare" di Caterina Caselli è di fatto un inno alla libertà femminile, avanguardista per l'epoca. E ancor di più Patty Pravo, con i suoi brani e il suo look, rappresenta un modello di indipendenza e trasgressione, così provocante e inafferrabile, che turba gli adulti e fa sognare le ragazze.
È un peccato che il documentario manchi (presumibilmente non certo per scelta) di filmati d'archivio nonché di un tappeto sonoro composto dalle canzoni di quel momento. Resta comunque la funzione divulgativa su un periodo storico-musicale così fervente che si sarebbe chiuso all'alba degli anni Settanta - quando inizia in Italia l'era dei grandi cantautori partiti dal beat-pop come Lucio Battisti, mentre la musica rock vira verso forme più elaborate. Ma di quei favolosi anni Sessanta suscita ancora una certa impressione riscoprire lo spirito, specialmente se paragonato all'oggi.
Il proposito di raccontare cosa è stato il beat in Italia, nei favolosi anni 60, la sua carica quasi sovversiva rispetto al canto melodico, si scontra nel documentario di Pierfrancesco Campanella con due ostacoli: il primo è l'inevitabile elencazione di titoli e cantanti, ricapitolati con un montaggio ansiogeno e un continuo, frenetico avvicendamento di volti ospitati, che nell'economia di una durata [...] Vai alla recensione »