Chrsty Hall, alla sua opera prima da regista, ci ricorda che l'incontro con un estraneo può essere un'epifania e funzionare meglio di una lunga seduta di psicoterapia. Da giovedì 19 dicembre al cinema.
di Marianna Cappi
È sera e fa buio all'aeroporto JFK di New York. Una giovane donna, appena sbarcata, sale su un taxi in direzione di Manhattan. Il tassista prova a fare conversazione e a lei sembra non disturbare l'idea di scambiare qualche parola, nonostante Clark (è questo il nome di lui) non abbia peli sulla lingua. Lungo il tragitto, allungato da un incidente che blocca temporaneamente il traffico, il dialogo tra i due si fa più personale e l'uomo e la donna cominciano a rivelarsi cose che non hanno mai detto a nessun altro.
Christy Hall, alla sua opera prima da regista, ci tiene a ricordarci che l'incontro con un estraneo può essere un'epifania e funzionare meglio di una lunga seduta di psicoterapia.
Girato in sedici giorni, su un palcoscenico attorniato da maxi schermi che riproducevano l'ambiente esterno, Una notte a New York non si è allontanato troppo, in fase di realizzazione, dall'approccio teatrale per cui era stato pensato inizialmente. Ma, si sa, il cinema fa magie, e nel tempo di qualche secondo siamo già sotto l'effetto dell'incantesimo, capaci di credere che quelle siano davvero le luci della strada.